domenica 27 ottobre 2019

Linguine al baccalà

Somma Vesuviana, si sa, è uno dei più grandi spacci d'Europa per quanto riguarda baccalà e stoccafisso.
Alle innumerevoli strutture di "trattamento" di queste splendide specialità, fanno eco innumerevoli templi per la degustazione di tali tesori del mare.
Qui il merluzzo del Nord-Atlantico è servito in mille maniere e altre migliaia seguiranno nel tempo perchè questo meraviglioso pesce, dalle caratteristiche nutrizionali uniche, è estremamente duttile e buonissimo comunque lo si faccia, dalle preparazioni in carpaccio a quelle in forno.
Qui voglio presentare una ricetta, squisita e semplicissima, suggerita dalla Tenuta Vannulo di Capaccio Scalo, nel Salernitano, nota soprattutto per l'eccezionale Mozzarella di bufala che produce nella zona.
Tenuta Vannulo - Linguine al baccalà (da Luciano Pignataro)

Piatto semplice e veloce, quindi adatto ai nostri tempi, ma soprattutto squisito. Andiamo a fare la spesa per le classiche quattro persone:
  • 400 gr baccalà ammollato e diliscato
  • 300 gr linguine rugose di Gragnano
  • 250 gr pomodori pelati Sanmarzano
  • 50 gr olive nere di Gaeta snocciolate
  • 20 gr capperi dissalati (!)
  • 1 gambo di sedano
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 pizzico di origano
  • 1 punta di peperoncino piccante
  • 1 ciuffo di prezzemolo
  • 40-50 cc di olio extravergine di oliva (quanto basta)
  • sale e pepe macinato
Kcal per porzione: 480
All'opera:
  1. Mentre bolle l'acqua per la pasta, mettere in una padella l'olio extra vergine di oliva e l'aglio tritato e lasciare soffriggere lentamente senza far bruciare l'aglio (appena biondo).
  2. Aggiungere il baccalà spezzettato
  3. Aggiungere i pomodori, un poco di sale, i capperi tritati, le olive spezzettate, il sedano tritato, l'origano e il peperoncino
  4. Lasciare insaporire per qualche minuto, poi abbassare la fiamma in attesa della cottura della pasta
  5. Levare la pasta al dente fermo, aggiugerla alla padella e alzare il fuoco aggiungendo se occorre un po' di acqua di cottura
  6. Servire con una spolverata di prezzemolo ed una macinata di pepe
Da bere niente vini rossi corposi o strutturati, di rigore berrei Piedirosso dei Campi Flegrei

domenica 29 settembre 2019

Spaghetti alla napoletana con zucchine e aglio

Gianfranco Vissani, ex "enfant prodige" (oggi un po' meno enfant) della cucina italiana moderna è capace di passare, nei suoi piatti, dalle sofisticherie più audaci e sorprendenti alla semplicità più disarmante. 
Gianfranco o lo si ama o lo si odia, è un personaggio ingombrante in tutti i sensi sia come persona che come chef pluristellato, la sua cucina può dare un'esperienza mistica oppure un rifiuto senza appello, ma non se ne può mettere in discussione la sua genialità e competenza nelle sue preparazioni.
Questa ricettina mi è stata suggerita da una sua pubblicazione settimanale con "La Repubblica - La grande Cucina di Gianfranco Vissani - 1999"  ed è di una semplicità unica, ma caratterizzata da sapori decisi e ben equilibrati.

Ingredienti

Per le solite 4 persone occorrono:
  • 320 grammi di spaghetti, non troppo sottili
  • 200 grammi di zucchine
  • 2 spicchi generosi di aglio (interi schiacciati o a fettine sottili secondo il gusto)
  • 70 grammi di pecorino romano
  • olio extravergine di oliva (fruttato leggero) q.b.

Preparazione

  1. In una padella fare andare le zucchine tagliate a dadini con l'aglio e l'olio
  2. Non appena è dorato, togliere l'aglio.
  3. Nel frattempo si cuociano gli spaghetti al dente fermo, in abbondante acqua salata (10 gr/litro di acqua)
  4. Levate gli spaghetti e passateli nella padella con qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta, per regolarne la fluidità
  5. Mantecate in padella, fuori dal fuoco col pecorino grattugiato
Ci bevo un vino bianco fruttato come la Falanghina dei Campi Flegrei. Buon appetito

Gli spaghetti vanni "levati" e non scolati perché l'acqua di cottura della pasta è necessaria per determinare il grado di scorrevolezza del piatto.

lunedì 23 settembre 2019

Spaghetti aglio, olio e peperoncino



E' sera, ci siamo visti la partita, abbiamo mangiucchiato qualcosa, abbiamo discusso animatamente e analizzato i fatti salienti della partita, la serata si trascina stancamente quando, in un momento di pausa, una voce: "Ahò, se famo du' spaghi ajo, ojo e peperoncino?" (il romanesco è d'obbligo in questo caso), e la serata riprende magicamente vita.
Aglio, olio e peperoncino è il piatto jolly che mette tutti d'accordo: è il re di una cena improvvisata, il digestivo dopo una grande mangiata (provare per credere) ed è soprattutto dispensatore di brio, gioia e buoni sentimenti.
Dopo un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino ci sentiamo sereni e ben diposti nei confronti degli altri, anche perchè si porta dietro un bel paio di bicchieri di vino rosso per sedare il palato.
E' un piatto apparentemente facile da preparare, gli ingredienti sono pochi, è però un piatto insidioso e quindi, qualsisi stonatura viene avvertita immediatamente, è come ascoltare un quartetto e non una banda.
I professionisti della cucina, che impiegano mesi per mettere a punto una ricetta, adottano alcuni criteri che personalmente ho fatto miei, con grande piacere dei miei amici commensali.
Gli ingredienti: spaghetti grossi, o vermicelli, per sentire meglio la callosità della pasta, possibilmente di Gragnano, sicuramente trafilati al bronzo, cioè rugosi, per trattenere meglio il sugo.

Spaghetti Di Martino - Gragnano

Olio extra vergine di oliva fruttato intenso. Infine, gli ingredienti freschi: aglio, peperoncino rosso, prezzemolo.
Le dosi per quattro: 320 grammi di pasta, 80 cc di olio (o di più dieta permettendo), 4 spicchi di aglio (anche sei, se vi piace) e un peperoncino (siamo sulle 450 kcal/porzione)
La preparazione: Mentre l'acqua bolle in pentola, con 10 gr di sale per litro, si prepara il soffritto, fonte di infinite controversie: aglio sbucciato, ma intero, aglio tritato o tagliato a fettine sottili, aglio bruno, aglio bianco, eccetera. Ora, poiché l'obiettivo è quello di fare rilasciare tutti gli umori dell'aglio all'olio, il consiglio dello chef è quello di tagliare l'aglio a fattine sottili e metterlo in padella con poco olio a freddo. Alzare la temperatura lentamente e, appena prima che l'aglio inizi a friggere, togliere la padella dal fuoco, aggiungere altro olio freddo, rimettere in cottura. Ripetere più volte, in modo da mantenere sempre bassa la temperatura, in questo modo l'aglio non frigge ma rilascia tutto il suo sapore all'olio, prima di aggiungere il peperoncino.
Il grado di piccantezza: Non vi sono due peperoncini identici e quindi l'unica soluzione è assaggiarlo, dopo aver asportato i semi, i filamenti interni e averlo tagliato sottile.
La cottura degli spaghetti: adotto il cosidetto metodo Agnesi, quello proposto ed adottato da Gualtiero Marchesi: bollire la pasta per circa metà del tempo previsto, spegnere il fuoco, mettere il coperchio e lasciare lì gli spaghetti per il tempo rimanente (l'acqua di cottura rimarrà limpida, la pasta perderà meno amido e si legherà meglio al condimento). A due minuti dalla fine della cottura, si leva (attenzione, non si scola) la pasta e la si manteca nella padella con l'aglio e il peperoncino, aggiungendo acqua di cottura poco alla volta e mescolando continuamente, come se si trattasse di un risotto, per ottenere un effetto cremoso. Infine, spolverare con il prezzemolo tritato e servire immediatamente per scongiurare l'effetto-colla.
Le varianti: a Napoli è consentito aggiungere alla fine pangrattato tostato, oppure fettine di olive bianche denocciolate e tagliate sottili. In Sardegna il tocco finale è dato dalla bottarga a fettine sottilissime. È invece severamente vietato aggiungere Parmigiano Reggiano o qualsiasi altro formaggio grattugiato.
E mo', fàmoseli sti du' spaghi...

sabato 21 settembre 2019

Maccheroni


maccherone
/mac·che·ró·ne/
sostantivo maschile

1.    (spec. al pl. ). Pasta alimentare di semola di grano duro, senz'uova, da mangiarsi asciutta e condita in vari modi; part., nelle regioni meridionali, spaghetto o bucatino; in Toscana, tipo di pasta all'uovo fatta in casa col matterello, tagliata a strisce molto più larghe delle tagliatelle; nell'uso internazionale, qualsiasi tipo di pasta da farsi asciutta secondo il tradizionale modo degli italiani.

Formati di "maccheroni"
Oggi in Italia si consuma una pasta secca chiamata maccheroni fatta di semola di grano duro e acqua, ma il termine indica due cose diverse: nell'Italia meridionale è sinonimo generico di pasta di vari formati, nel resto della penisola rappresenta una pasta a forma di tubo corto o lungo.
Tale confusione lessicale va sostanzialmente attribuita alla più antica origine e al più vasto e generico significato del vocabolo maccheroni rispetto a quello più ristretto che ha assunto progressivamente negli ultimi due secoli per ogni tipo di pasta.
Ad esempio nella celebre scena del film "Un americano a Roma" in cui Alberto Sordi mangia un piatto di pasta si riferisce ad esso con il termine "maccheroni" pur trattandosi evidentemente di spaghetti.
L'origine della parola, secondo il linguista Giovanni Alessio, sarebbe tratta dal termine greco bizantino μακαρώνεια (makarṓnia) ossia «canto funebre», che sarebbe passato a significare «pasto del funerale» e quindi di «pietanza da servire» durante questo officio, oppure dal greco μαχαρία (macharía), «zuppa d'orzo» (anche questo, da μάκαρ (machar) col significato di "beato".
Secondo Giacomo Devoto, maccherone è una derivazione dal latino maccus, "purea di fave", che veniva schiacciata, "ammaccata", come appunto è ridotto in polvere il frumento per trarne la farina (da notare che Maccus, personaggio della farsa atellana del teatro latino, viene descritto col nasone e   perennmente affamato così come il nostro Pulcinella sempre a caccia di "maccheroni").
Maccus, precursore di Pulcinella
In passato si pensava che la pasta fosse stata importata da Marco Polo di ritorno dal suo viaggio nel Catai, in realtà la pasta era già conosciuta sin dall'epoca dei romani sotto forma di pasta fresca (impasto di acqua e farina come si usa ancora oggi) e la versione secca, inalterabile, facilmente trasportabile e pronto all'uso, essendo sufficiente solo un recipiente con acqua bollente per renderlo commestibile, sembra fu introdotto in Italia dai commercianti arabi. 
La diffusione dei maccheroni ha avuto origine, non da Napoli come generalmente si crede, ma dai primi sbarchi arabi in Sicilia e successivamente in Liguria in quanto i Genovesi, grazie ai traffici con l'Oriente, detenevano un quasi monopolio nel commercio del grano Mediterraneo.
Il primo documento scritto sul quale compare il nome di questo impasto risale al 1279, un'inventario notarile di beni appartenenti al milite genovese Ponzio Bastone: "barixella (cesta) una, plena de macharonis". 
Ritroviamo la parola "maccherone" fra le leccornie del Boccaccio, usata genericamente per indicare un impasto di qualunque formato, in genere gnocchi: "...in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale... eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli (1), e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva ..." Giovanni Boccaccio - Decameron. 
Molto più tardi, Giovan Battista Basile, nel celebre “Lo cunto de li cunti, o Lo trattenimento delli piccirilli”, nella favola di Cenerentola, scrive: ...”Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sopressate e le polpette? Addò li maccarune e li graviuole?"
Furono loro, i napoletani, a mettere ordine nella confusione linguistica: per loro i maccheroni era soltanto la pasta lunga trafilata, di cui erano nel frattempo diventati dei gran consumatori.
Non c'é dubbio che i primi fast-food siano nati a Napoli: erano nient’altro che grandi pentoloni fumanti, pieni di maccheroni in cottura, che venivano serviti sulla bancarella: perché tutto questo accadeva non all’interno di un locale, ma “in mezzo alla strada”, come si dice a Napoli. I maccheroni si  mangiavano così: presi dal pentolone fumante affiancato dal piatto di terraglia piena di formaggio grattugiato e pepe, senz’altre posate se non le mani e conditi con l’enorme, atavica fame del popolo partenopeo. 
Un osservatore francese scriveva "quando un lazzarone ha guadagnato le quattro o cinque monete che gli bastano per comprarsi i maccheroni, non si preoccupa più del domani e smette di lavorare". (2)
L’immagine dello spiantato che, con la testa buttata all’indietro, si faceva scendere in bocca una manciata di pasta, fece il giro d’Europa e divenne un fatto di folklore: il popolo partenopeo, fino ad allora definito mangiafoglie perché dedito ad un notevole consumo di cavoli e broccoli, si vide affibbiare un nuovo soprannome, quello di mangiamaccheroni.

Mangiamaccheroni "in posa"
Fu il solito rozzo e volgare "re nasone" Ferdinando I di Borbone che elevò, oltre la pizza, i maccheroni come cibo di corte. Un ospite irlandese della corte borbonica che aveva assistito a un pasto regale, lo descriverà così: "Li afferrava tra le dita, torcendoli e stiracchiandoli, e poi infilandoseli voracemente in bocca, disdegnando con la massima magnanimità l’uso di coltelli, forchette o cucchiai, o qualsiasi altro strumento eccettuati quelli che la natura gli ha gentilmente messo a disposizione".
Ma il termine “maccarone”, a Napoli, viene anche usata per indicare (e per sfottere) una persona imbranata, priva di quella sveltezza di mente che a Napoli è d'obbligo. Ma non è proprio un insulto: con appena un po’ di condimento, il “maccarone” può diventare un piatto prelibato. Un po’ come accade per il broccolo (la cima di rapa): basta un po’ d’olio, e qualche piccolo trucco nella cottura, e “ ‘o vruoccolo”, diventa, come per magia, Sua Maestà il Friariello.   

Maccheroni nella cultura

Proprio dai maccheroni prende nome il latino maccheronico, un genere letterario creato nel Cinquecento dal mantovano Teofilo Folengo mescolando la pomposità della lingua latina usata dai dotti e dai potenti con l'irriverenza e la meschinità di fatti e argomenti popolareschi (simboleggiati appunto dai maccheroni).
Il termine maccheroni, abbiamo visto, avrebbe una radice da gioia, beatitudine e non sorprende che ai maccheroni venisseri dedicati persino brani musicali da insospettabili autori come il severo ed austero musicologo, maestro finanche di Mozart e Jommelli, qual era il Padre Giovanni Battista Martini (Bologna 1706-1784) il quale compose questo canone a tre voci: 
Come son boni li macheroni!
Voi che ascoltate voi ne mangiate
 Al color al sapore
 Mi par che ne mangiate a tutte l’ore. 

Più di recente, la Nuova Compagnia di Canto Popolare invoca una sorta di preghiera affinché abbondanza e felicità fossero regalati alla povera gente, ne "Sotto il velo del cielo":
...Vulesse ca stu cielo s'arapesse                                (...Vorrei che questo cielo si aprisse
 pe' tutt''a gente ca nun tene niente,                           per tutta la gente che non tiene niente,
 scennesse l'acqua santa pe' terre addò nun chiove  scendesse acqua santa sulle terre dove non piove
 e frutta, miele, pane e vino nuovo.                           e frutta, miele, pane e vino nuovo.
 Vulesse ca chiuvesse, chiuvesse maccarune,           Vorrei che piovesse, piovessero maccheroni,
 li prete de la via caso rattato,                                  e che le pietre della strada (fossero) cacio grattato,
la muntagna 'e Somma fosse carne arrustuta,          e che la montagna di Somma fosse carne arrostita
 e tutta l'acqua 'e mare vino annevato.                      e tutta l'acqua del mare vino ghiacciato).

Segno concreto di come la fame, il cibo, il mangiare, l’amore, la passione, l’eros, la seduzione, il piacere e la serenità dalle ossessioni, siano quasi riuscite a unificare il rapporto tra cibo, parola e arte in una serie di relazioni metaforiche, che trasformano un alimento in oggetto-simbolo di vita, di felicità e di benessere.  
Nel cinema, celebri sono le scene in cui vengono citati i maccheroni, come in Miseria e nobiltà, Un americano a Roma, Vacanze intelligenti, Mangia, prega ama...


Ma non sempre la pasta (i maccheroni) ha avuto il plauso del mondo letterario. Nella satira “I nuovi credenti”  Leopardi  scrisse che i Napoletani avevano costruito la loro  filosofia dell’Essere sul “piatto di maccheroni”, e perciò erano felici: ma di quella felicità che viene dall’ignoranza.
...Tutta in mio danno
s’arma Napoli a gara alla difesa
de’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni
anteposto a morir troppo le pesa...
Questo “affronto”non poteva passare impunito al punto che il poeta napoletano Gennaro Quaranta, ne "La Maccheronata", rispose:
E tu fosti infelice e malaticcio
o sublime cantor di Recanati…
Ma se tu avessi amato i maccheroni
più de’ libri che fanno l’umor negro,
non avresti patito aspri malanni… 
E vivendo tra i pingui bontemponi
giunto saresti, rubicondo e allegro, 

forse fino ai novanta od ai cent’anni… » 

E che dire di Filippo Tommaso Marinetti che, nel Manifesto della Cucina Futurista del 1830, si scagliò contro “la pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana, simbolo passatista di pesantezza, di ponderatezza, di tronfiezza”.
Ma lo stesso Marinetti, sorpreso a Milano nell’atto di divorare un grosso piatto di spaghetti, giocò d’anticipo, scrivendo di sé: 
“Marinetti dice basta
messa al bando sia la pasta.
Poi si scopre Marinetti...
che divora gli spaghetti”.
Con l'ovvio significato che, davanti ad un piatto di maccheroni, tutte le ideologie si sgretolano miseramente e che ogni resistenza a quella tentazione è assolutamente inutile.

Notizie e foto prelevate qua e la nella rete e no, se qualcuno si sente defraudato, sarò lieto di rimuovere quanto incriminato

(1) Molto probabilmente gnocchi e "raffioli", dolce napoletano di forma ellittica, ricoperto di glassa e mangiato tipicamente a Natale insieme ai roccocò, susamielli, struffoli e mustaccioli.

(2) Con il termine lazzari (o anche lazzaroni) si indicavano i giovani dei ceti più popolari della Napoli del XVII-XIX secolo. Particolarmente famoso fu il ruolo da loro svolto nella difesa della  Repubblica Napolitana nel 1799, sostenuta dalla Francia, contro la restaurazione dei Sanfedisti guidati dal cardinale Ruffo. Infatuati del principio di libertà, proprio della Rivoluzione Francese, si consideravano estranei alla società del momento; sopravvivevano, da miseri, con i frutti della campagna circostante, si adattavano a compiere lavoretti, quando si presentavano, non disdegnando talvolta di compiere qualche piccolo furto o raggiro e, più spesso, mendicando. Per questo motivo il termine lazzarone, è sinonimo nell'italiano comune di persona pigra o poco di buono.