A parlare per la prima volta di "tria ianuense" è il ricettario, edito nel 1200, della corte di Federico II di Svevia, re di Napoli e delle Due Sicilie, nel quale è citato "ad Triam Ianuenssem suffrige cipolas cum oleo et mite in aquam bullenti, decoque et super pones, et colora, et sapora sicut vis. Cum istas potes ponere caseum gractatum vel incisum et da. Quod cumcumque placet cum caponibus et cum ovis vel quibuscumque carnis".
Cioè "per la Tria Genovese, sulla (pasta) cotta in acqua bollente si butta un soffriito di cipolla in olio e la si colora e condisce come si vuole. Si può aggiungere del formaggio grattugito o a dadini. Come piace, della carne di pollo, delle uova o della carne (di manzo).
Non c'à dubbio: è la ricetta della pasta alla "genovese". La pasta è chiamata "tria" dalle sue origini arabe (itria), e fu importata dapprima in Sicilia e poi a Genova, allora al centro dei traffici commerciali navali. Ancora oggi nel Salento si può gustare Ciceri e tria, cioè Pasta e ceci
Esistono poi spiegazioni e leggende più o meno dotte che si intrecciano con uguale fantasia e dovizia di particolari (sul blog "A cucina e mammà" dell'amico Roberto Fusco possiamo trovare una bella sequenza di possibili soluzioni); ma quello che comunque non può essere messo in discussione è che questo piatto appartiene senza alcun dubbio alla tradizione napoletana ed è una preparazione gastronomica, a base di cipolle, di altissimo livello e di sapore eccellente.
La base sono come si è detto le cipolle; ma quali? Qui entriamo nel discorso della territorialità e della diversità; i sacri testi non hanno dubbi: le cipolle più adatte sono quelle ramate di Montoro (in provincia di Avellino), caratterizzate dalla compattezza della polpa e dolcezza non prevaricante del sapore.
Assolutamente da scartare sono le cipolle bianche, troppo acquose e quelle troppo fresche: la cipolla per la "genovese" deve essere "vecchia", con le cuticole esterne cartacee, che si sfaldano facilmente, e prive di macchie e ammaccature. Inadatta la cipolla rossa di Tropea o quella di Firenze, la loro prepotente dolcezza è eccessiva ed invadente in questa preparazione.
La carne è la solita carne "povera" dei napoletani, il secondo taglio purché ricco di collagene: lacerto (girello) o colarda (scamone), o meglio la corazza di petto, altre carni non sortiscono lo stesso effetto anche se Gennaro Esposito, master-chef de "La Torre del Saracino" a Vico Equense, preferisce il primo taglio di annecchia (vitella giovane).
La pasta dovrebbe essere le zite o ziti (la pasta degli sposi) o candele da spezzare a mano, meglio se semi-artigianale, trafilata in bronzo, ben rugose ed essiccate lentamente.
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Zite lunghe - Pastificio Afeltra Gragnano |
Prepariamoci quindi la Genovese per le classiche quattro persone con :
- 800 gr/1 kg di lacerto, colarda o corazza di petto
- 1 kg o più di cipolle ramate di Montoro,
- 100-150 gr. di gambetto di prosciutto (il segreto di zio Carmine),
- 1 bicchiere di vino bianco secco (zio Carmine usava il rosso),
- 1 gambetto di sedano,
- 1 carota,
- 1 foglia di alloro,
- delle bacche di ginepro,
- spezie e odori come piace,
- 320 gr. di zite spezzate a mano,
- caciocavallo o parmigiano grattugiato,
- un pezzetto di cotica di prosciutto di maiale,
- olio extravergine d’oliva,
- sale e pepe.
- In un tegame, possibilmente di coccio, a bordo non molto alto, fare soffriggere la carota e il sedano tritati finemente insieme con la foglia di alloro, le bacche di ginepro, il gambetto di prosciutto e la cotica;
- Aggiungere la carne tagliata a pezzi non troppo piccoli e fare rosolare per qualche minuto per creare la crosticina e trattenere i sughi;
- Aggiungere il vino un po' alla volta, lasciandolo sfumare ogni volta;
- Cuocere per almeno un 'ora, rimestando continuamente; alla fine togliere l'alloro;
- Aggiungere le cipolle tritate finemente, con un po' di sale e un poco d'acqua;
- Coprire col coperchio semiaperto e lasciare cuocere per almeno tre ore a fuoco bassissimo come per il ragù, rimestando di tanto in tanto con una cucchiarella di legno (olivo).
- La cottura è terminata quando si è ottenuta una crema densa, ambrata, lucida e profumata (in cui il senso della cipolla non è più presente se non leggerissimo al retrogusto), dolce e succulenta e la carne è esausta perché tutto è passato al sugo. Se si è bravi, si può raggiungere una leggerissima punta di bruciato della cipolla.
- Aggiustare di sale
- Togliete la carne e tagliatela a fette tenendola da parte, come secondo, insieme ad una parte della salsa.
- Lessate le zite al dente e aggiungetele al ragù bianco, saltandole per qualche minuto in modo che il sugo attacchi bene alla pasta.
- Impiattate, aggiungete sugo, formaggio e pepe.
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"da Luciano Pignataro" |
Ci abbino un vino bianco acidulo ma strutturato che pulisca il palato, come Coda di Volpe del Sannio, Greco di Tufo o Pallagrello bianco.
E' un piatto da grande cuoco, sontuoso e degno della tavola di un re.
E' un piatto da grande cuoco, sontuoso e degno della tavola di un re.
Concordo, è un piatto ricco, gustoso e intenso.
RispondiEliminaMi viene da ridere al pensiero di persone che per evitare la pesantezza della cipolla, o gli effetti "tossici" si privano di gustarlo o ne inventano varianti scialbe.
Mica lo si mangia spesso no?
E allora, per quel "una tantum", invita anche chi vuoi (così si combatte alla pari e nessuno si lamenta) mangia, gusta e perchè no goditi anche il momento!
La cipolla posso tritarla nel mixer per fare prima ? Grazie come carne di solito prendo il muscolo perché la carne sfilacciosa non mi piace o andrebbe bene anche la gallinella ?
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