giovedì 28 agosto 2014

La mattanza della vigilia di Natale

E' di tradizione, un po' dappertutto in Italia, mangiare il capitone alla vigilia di Natale.
Il capitone, come è noto, è la femmina dell'anguilla e si caratterizza per la sua dimensione, molte volte maggiore di quella del maschio, e per lo strato di grasso sottocutaneo che rende la sua carne un po' indigesta; per questo motivo la cottura del pesce è fondamentale per eliminare l'eccesso di grasso, mentre il sapore del capitone è invece delicatissimo, una vera delizia del palato.


Foto dal web di Bruno Lomio
A Napoli, a differenza di altre parti d'Italia, è difficile mangiare questo pesce al di fuori delle festività natalizie, di conseguenza l'arrivo del capitone nelle nostre case era, ed è tuttora,  un avvenimento da non perdere.
Da bambino, ricordo con molta chiarezza, vi era l'abitudine di acquistare il capitone la sera del 23 dicembre, rigorosamente nei mercati del pesce: in primis, il più grande e fornito, "sopra le mura" a Porta Nolana, meno accorsati ma ugualmente frequentati Pignasecca, Antignano, Sanità, Borgo di S.Antonio Abate e Sant'Anna di Palazzo.
I pescivendoli occupano grandi spazi di strada, rendendo difficile il passaggio persino ai pedoni, ed i loro richiami risuonano forti e suadenti mentre la loro mercanzia viene esposta alla luce di abbacinanti lampadine da 250 watt, spruzzata continuamente di acqua per rendere più brillanti e "vivi" i pesci. 
Capitoni, anguille, vongole, cozze, fasolari, spigole, orate, polpi, gamberi risplendono di freschezza, sotto quelle potenti lampade, con un forte, irrefrenabile richiamo di cose buone e irrinunciabili.
Le vasche dei capitoni generalmente tre, sono disposte come i gradini di una scala: più in basso le anguille, da un centimetro circa di diametro e quaranta di lunghezza, al centro i "mezzi capitoni" - fino a due cm circa di diametro, e in alto il re, il sovrano: il capitone vero e proprio da 2,5 cm in su.
Le vasche sono riempite d'acqua fresca che ruscella da una vasca a l'altra fino a terminare, con una cascatella finale in strada. Nelle vasche i capitoni si aggrovigliavano scivolando gli uni sugli altri in un inarrestabile va e vieni, boccheggiando in attesa del loro inevitabile destino.
L'avvenimento principale - e atteso - è la "fuga" del capitone, il quale, eludendo la prigionia della vasca, cerca un'improbabile via di scampo, guizzando tra le gambe degli avventori, approfittando della strada resa viscida dall'acqua, inseguito dall'erculeo pescivendolo tra il fuggi fuggi generale e le risate di tutti, fino alla cattura, ahi lui, inevitabile: la povera bestia torna nuovamente ad essere relegata a boccheggiare nella sua cella della morte.
La trattativa economica di rito è - di prammatica - lunga, ma alla fine si torna a casa con un umido cartoccio di spessa carta paglia che si muove e rigonfia qua e là a seconda del movimento delle bestiole.
A casa i capitoni venivano "tenuti" in una bagnarola - o nella vasca da bagno per chi l'aveva - in attesa del compimento del loro destino; per noi bambini lo spettacolo era assicurato, per ore fissavamo i movimenti liquidi delle bestie che vagavano nello spazio ristretto loro assegnato, forse alla vana ricerca di una via di evasione.
Cercavamo di prenderli, ma i tentativi erano immancabilmente resi vani dalla viscida scivolosità della loro pelle e dalle contorsioni violente dei pesci: impossibili da catturare a mani nude, a meno che non si fosse un pescivendolo di prima categoria: quelli che avevano le ventose alle mani!
Foto di Monica Piscitelli 
Il pomeriggio del 24 ha inizio la mattanza: mio padre, la presa tenuta asciutta da un foglio di giornale, agguanta la bestia che si divincola come una forsennata, la dispone alla meno peggio sul marmo in cucina e incomincia a lavorare di coltellaccio o di mannaia, tra sangue che sprizza dappertutto, pezzi di capitone che scivolano a terra contorcendosi con foga, imprecazioni e smorfie di soddisfazione. Il lampo feroce nei suoi occhi, mentre ottiene ragione della bestia indiavolata, è il ritorno atavico del cacciatore primitivo che si fa strada tra gli infiniti strati della civilizzazione, il richiamo mai sopito, nel nostro subconscio, dell'archetipo del predatore.
Il rito prosegue fino a quando la cucina non è ridotta ad un terreno di battaglia campale, ma alla fine la soddisfazione è grande: le bestie giacciono immote, ridotte a pezzi, eviscerate e lavate, in un vassoio pronte per la frittura.
Questo rituale oggi è praticamente estinto: le giovani generazioni non amano il capitone, ritenuta una bestia repellente, viscida, schifosa e (orrore!) GRASSA, la guardano con una smorfia di ribrezzo, abituati come sono a prodotti tutti uguali a se stessi, sensorialmente "neutri" e visivamente "gradevoli".
Foto di Monica Piscitelli 
Nelle case moderne difficilmente si rinnova il rito della mattanza del capitone, si preferisce il territorio neutro della pescheria, dove la morte del capitone, invece, rappresenta uno spettacolo di efficiente grazia, seppur cruento: come la corrida.
E' un vero corpo a corpo, dove la prontezza di riflessi del pescivendolo per assestare il primo colpo dietro la testa del pesce, si contrappone alla forza ed alla vitalità del capitone; poi zac, zac, zac il pesce è ridotto in pezzi, mentre nel pescivendolo traspare lo sguardo supponente dell'esperienza, come a dire "Facitelo vuie, si site capace".
La vitalità dei capitoni è tale che seppure ridotti a pezzi continuano a muoversi animatamente e lo faranno anche, novelli highlander, in padella: un vero mistero di Natale, che per noi bambini di allora aveva un sapore magico e crudele nello stesso tempo.

Per gradire:

Capitone alla griglia (brace)
Capitone fritto
Capitone al forno con alloro e limone
Anguilla in umido con uva passa e pinoli

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