Nella cucina popolare partenopea, vi sono piatti dalla grande tradizione che spariscono nelle nebbie della dimenticanza, sopraffatti dal continuo bombardamento delle "novità a tutti i costi" in cucina che la TV ci propina ad ogni piè sospinto con decine di chef, più o meno improvvisati, che ci incantano con mirabolanti quanto ardite combinazioni dal gusto spesso discutibile o con ignobili mappazze.
Invece vorrei parlare di una pietanza che, per la sua semplicità di preparazione, genialità di invenzione e gusto, sicuramente indovinato, merita di essere riscoperta e rivalutata perché degna di grande interessamento.
Parliamo della frittata di "scàmmaro", che potrebbe definirsi, a voler essere grezzi, una frittata di maccheroni, senza uova, conditi con olive nere, capperi e acciughe; un piatto "di magro" (lo scàmmaro) che tuttavia trae origini nobilissime.
Pare che su richiesta della Chiesa, Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, grande cuoco e letterato napoletano, avesse elaborato questo piatto, coniugando sapientemente il piacere del cibo alla necessità della penitenza quaresimale: è un piatto privo di proteine animali, se si escludono le acciughe, non considerate tali dalla chiesa, e quindi adatto ai periodi di magro.
Pare che "cammarare", fosse una dispensa speciale per i frati che, pure nei giorni di quaresima, erano esentati dal mangiare di magro, purché rimanessero in "cammara", cioè nella loro celletta per non disturbare i loro confratelli costretti a mangiare di magro.
Se, quindi, “cammarare”, significa “mangiar di grasso”, con la “s” davanti, il verbo diventa “mangiar di magro”; i "giorni di scàmmaro" nel Regno delle Due Sicilie identificavano i giorni della quaresima e tutti gli altri giorni dell'anno nei quali, per precetto religioso, era obbligatorio mangiare di magro, una sola lettera, quindi, sortisce l'effetto non indifferente, per i poveri penitenti di "... mettere a posto la coscienza e non soffrire le pene infernali di chi si priva del godimento di un piatto tanto semplice quanto gustoso" (Monica Piscitelli).
Pare che "cammarare", fosse una dispensa speciale per i frati che, pure nei giorni di quaresima, erano esentati dal mangiare di magro, purché rimanessero in "cammara", cioè nella loro celletta per non disturbare i loro confratelli costretti a mangiare di magro.
Se, quindi, “cammarare”, significa “mangiar di grasso”, con la “s” davanti, il verbo diventa “mangiar di magro”; i "giorni di scàmmaro" nel Regno delle Due Sicilie identificavano i giorni della quaresima e tutti gli altri giorni dell'anno nei quali, per precetto religioso, era obbligatorio mangiare di magro, una sola lettera, quindi, sortisce l'effetto non indifferente, per i poveri penitenti di "... mettere a posto la coscienza e non soffrire le pene infernali di chi si priva del godimento di un piatto tanto semplice quanto gustoso" (Monica Piscitelli).
Il Cavalcanti, nel suo trattato "Cucina Teorica-Pratica" descrive così questa "frittata":
"Scaura tre rotole de vermicielle, ma teniente, teniente, li scule e li buote dinto a no tiano co tre mesurielle d'uoglio zoffritto, co miezo quarto d'alice salate, e pepe, quanno l'aje mbrogliate e asciuttate, ne miette na mità dinto a la tiella e nge miette na mbottonatura d'aulive senza l'osso,de chiapparielle, d'alice salate a meza a meza, passe e pignuole, nge miette l'auta mmità de li vermicielle e nge farraje fa la scorza sott'e ncoppa, facennola friere co la nzogna o co l'uoglio."
Una possibile traduzione potrebbe essere - tener presente che un "rotolo" equivale a 890 gr:
"Lessa 3 chili (circa) di vermicelli, appena al dente li scoli e li rivolti in un tegame con tre misurini di olio, soffritto con 150 gr di alici salate e pepe. Dopo averli girate più volte fino all'assorbimento del condimento, ne metti una metà in una padella e li imbottisci con olive snocciolate, capperi, acciughe aperte a metà, uva passa e pinoli. Aggiungi l'altra metà dei vermicelli e li farai diventare croccanti friggendoli con la sugna o con l'olio."
Dunque si tratta di una preparazione molto semplice, sia negli ingredienti che nella preparazione.
Dal blog "A cucina e mammà" di Roberto Fusco" |
Una versione "umana", nel senso delle dosi, della ricetta del Cavalcanti potrebbe essere:
- 300 gr di vermicelli trafilati al bronzo
- 100 gr di olive nere di Gaeta
- 35-40 gr di capperi
- 50 gr di uva passa ammollata in acqua
- 50 gr di pinoli dissalati
- 4-5 alici sotto sale sfilettate
- uno spicchio di aglio
- olio, sale, pepe, prezzemolo qb.
- Cuocere la pasta in acqua leggermente salata e scolarla molto al dente.
- In una padella "comoda", che conterrà poi anche la pasta, fate imbiondire l'aglio con qualche cucchiaio di olio, aggiungete le alici e cuocete solo per qualche minuto.
- A fuoco dolce, aggiungete la pasta rigirandola più volte con un poco di acqua di cottura, in modo da far assorbire il condimento e consentire che l'amido rilasciato faccia, in mancanza dell'uovo, da legante; aggiustate di pepe a vostro gusto.
- In un tegame, con un poco di olio, fate cuocere, a fuoco dolce per qualche minuto, le olive snocciolate e tagliate a metà, i capperi, l'uvetta ed i pinoli.
- A questo punto mettete metà della pasta in una padella di ferro, pressandola leggermente; distribuitevi uniformemente, a mo' di imbottitura, le olive, i capperi, l'uva passa e i pinoli.
- Coprite con l'altra metà della pasta e passate alla cottura.
- Poiché quest'ultima risulta lunga, almeno 15 minuti per lato, occorre lavorare a fuoco dolce facendo ruotare la padella, in senso orario o antiorario, sul fornello per ottenere una doratura quanto più omogenea possibile, prima da un lato e poi dall'altro ed inclinandola per permettere la doratura anche ai bordi e per evitare una eccessiva cottura del centro.
Una versione più ricca, che ha stupito non poco i miei amici durante il cenone di capodanno sono :
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