Molti furono gli artisti, gli studiosi, i poeti , i
compositori che si occuparono della Pizza e mai cibo ebbe tanti estimatori e
suscitò tanta voglia di parlarne.
Testimoni e memorialisti dei costumi del popolo
napoletano, ma anche scrittori e musicisti da Matilde Serao a Salvatore Di
Giacomo a Libero Bovio e Raffaele Viviani, non mancano di registrare e
celebrare la presenza di questo alimento nella vita del popolo.
Matilde Serao,
cronista attenta della vita della sua città e direttrice de “Il Mattino”,
soleva fermarsi in carrozzella ai piedi della salita di S. Anna di Palazzo e
ordinare (presso la
Pizzeria Brandi ) una pizza che avrebbe gustato poi, fredda,
durante la notte al giornale.
Se ne occupò anche estesamente Alessandro Dumas figlio,
nel corso di una serie di suoi scritti di viaggio: il "Corricolo". Scrisse che "…la pizza è una specie di schiacciata come se
ne fanno a St. Denis: è di forma rotonda, e si lavora con la stessa pasta del
pane. A prima vista è un cibo semplice: sottoposta a esame, apparirà un cibo
complicato.
Quel riferimento alle schiacciate di St. Denis ci
conferma che una sorta di pizza è cibo universale: mentre un certo modo
di cuocere e di guarnire il disco di pasta è invece tutto napoletano, ed è quello che ha conquistato il mondo[1].
Finalmente, si parla molto di Pizza anche in una celebre
opera "Usi e costumi di Napoli" di un autore francese: il De
Bourcard. Siamo verso la metà del XIX secolo: "La pizza non si trova nel vocabolario della Crusca, perché si fa col
fiore (di farina) e perché è una
specialità dei napoletani…Le focacce e le schiacciate sono alcunché di
simile, ma sono l'embrione dell'arte"[2].
E qui sta il punto, si riconosce che dovunque si fanno
focacce e schiacciate, ma la "Pizza" è esclusivamente tutta napoletana e non esiste un altro posto dove
si faccia la Pizza
buona come a Napoli.
Scrive Jeanne Caròla Francesconi[3]:
"C'è bisogno di dire come si fa una
pizza? Di descrivere gli esperti maneggiamenti del pizzaiolo perché il panetto
di pasta (lievitato col "crisceto" di pane) venga appiattito
perfettamente rotondo e più sottilmente al centro che ai bordi? E gli altri
rapidi gesti coi quali vi sparge in misura controllata, pomodoro, formaggio,
mozzarella, e vi versa l'olio? E il colpo secco con il quale la pizza, prima
trasferita sulla pala, viene fatta scivolare nel forno a giusto calore, e poi
rigirata perché ogni settore venga direttamente esposto al calore, e il bordo
si punteggi di bollicine bruciacchiate? E come con altro abile colpo, ripresa
sulla pala scivoli poi nel piatto e venga posta ancora sfrigolante davanti al
cliente che in attesa che si sbollenti, la giudica con gli occhi, da
intenditore ne controlla cottura e condimento pregustandola e, se è un esperto,
se la piega poi in quattro, a libretto,
e classicamente se la mangia con le mani".
A questo proposoto, si racconta l’aneddoto del regista Vittorio De Sica che,
dal celebre Ciro a Santa Brigida: lasciava che i suoi amici si sedessero a un
tavolo e restava in piedi vicino al forno per assaporare prima che si raffreddasse
anche per un solo istante, la sua “marinara”, ovviamente piegata "a libretto.
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