Il cappello del monsù

Alla fine del XVIII secolo Parigi era il riferimento culturale e gastronomico dell’epoca e Maria Carolina d’Austria, la bella, colta e raffinata moglie di Ferdinando I di Borbone, quel re Nasone invece rozzo e volgare, introdusse nella capitale partenopea il gusto francese, compresa la consuetudine di affidare il servizio di cucina ai grandi cuochi francesi: i "monsieurs”, poi chiamati nel Regno delle due Sicilie "monsù" o "monzù", semplificandone la pronuncia.
Questa tendenza si allargò agli aristocratici nobili partenopei, abituati a ricevere nelle proprie residenze amici, artisti e letterati, i quali vollero al loro servizio abili cuochi che, con i loro piatti, sapessero stupire gli ospiti ed esaltare il loro prestigio.

Avere un monsù celebre era, per una casata aristocratica, una consacrazione  cui non si poteva fare a meno, e nulla veniva risparmiato per procurarsene uno, perché, in epoca di influenza gastronomica francese, niente più di un titolo francesizzante pareva premiare l’eccellenza, anche se, di solito, i monsù francesi non erano.
Per estensione, si chiama ancora oggi "cucina dei Monsù" la raffinatissima cucina della tradizione aristocratica napoletana e siciliana, che si va purtroppo perdendo, nella quale è presente l’essenza dell'eccellenza e della qualità della cucina dei monsù: una "fusion", come si direbbe oggi, in cui i piatti della tradizione francese si trasformarono in piatti "alla napoletana”, in cui pietanze semplici e popolari si sono mutate in simboli della cultura e della storia partenopea.

Il ragù, la genovese, il sartù di riso, il gattò di patate, i crocché, il babà, sono diventati patrimonio culturale della cucina tipica napoletana, nella quale si respira il vissuto dei nostri bisnonni, dei nostri nonni, dei nostri genitori e si costruisce quel sentimento di gioia di vivere che caratterizza ancora oggi l’anima del popolo napoletano.
E la toque blanche, quel cappello alto e paffuto, cingendo a mo' di corona la testa del monsù, racchiude in se la dottrina e la sensibilità di quella cultura del saper cucinare, di quell'arte sinestetica in grado di investigare sapori ed odori capaci di rievocare, da un gusto o un profumo, sensazioni, immagini, persone o gesti magari lontani nel tempo ma intimamente parte della nostra vita e della nostra personalità.

Nessun commento:

Posta un commento