Tutti,
penso, ricordiamo la bellissima "mondina" Silvana Mangano in quel
capolavoro cinematografico di Giuseppe De Santis, "Riso Amaro" (1949),
nel quale si racconta la difficile vita di quelle donne di modesta
origine che sciamavano da mezza Italia per un po' di lavoro durissimo e
mal pagato.
Certamente non tutte le mondine potevano vantare quel bel paio di cosce tornite della Mangano, ma certamente tutte erano accomunate in un destino di sfruttamenti e sofferenze:
Sciur padrun da li béli braghi bianchi,
fora li palanchi, fora li palanchi,
sciur padrun da li béli braghi bianchi,
fora li palanchi ch’anduma a cà.
e ancora:
Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'.
Poche lire, 30-40 al mese, se tutto andava bene, che
si riusciva a mettere da parte strappandole non solo al padrone ma anche
al caporale che ti forniva l'alloggio (un pagliericcio nelle stalle) ed
il vitto (una zuppa di riso e poco più).
Da aprile a giugno il lavoro imponeva uno stentato riposo e levatacce prima dell'alba: "Quando la svegliarono si guardò
intorno sbalordita e disse: — È sempre notte. Infatti non erano ancora
le quattro; alle quattro bisogna essere sul lavoro."
E poi lavorare nella nebbia e in quel putridume da far mancare il fiato: "Nanna provò un senso di ribrezzo nell'entrare nella
risaia; e quando si trovò coll'acqua fin sopra le ginocchia, ed il capo
in quella nuvola bianchiccia che la velava tutta, si sentí mancare il
fiato. — Oh Dio! — mormorò. — Mi pare che questa cosa bianca sia la
febbre, e che mi entri pel naso, per gli orecchi, per la bocca — e
rabbrividiva tutta.
— Eh! Ragazza! Cosa si fa? — Le gridò l'assistente dei lavori."
Eh, già, perchè a contollare le ragazze c'era l'"assistente", una longa manus del padrone che vegliava affinchè non si perdesse tempo.
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Le mondine di Porporana |
E le donne si piegavano, non solo al suo volere, ma soprattutto a mondare il riso dalle male erbe, aspettando il sorgegere del sole che per lo meno le asciugasse un po'
"Quando
il sole venne, un sole di giugno che bruciava come una fiamma, si sentí
cuocere il cervello ed arder le carni. Il sudore le scolava giú lungo il
collo, le cadeva dalla fronte in grosse goccie, che piombando
nell'acqua della risaia, vi segnavano dei cerchi come fossero sassolini.
E da quell'acqua stagnante, e riscaldata, esalavano miasmi puzzolenti
che sconvolgevano lo stomaco.... Ed a misura che il
caldo aumentava, il puzzo delle acque si faceva piú insopportabile....Si
rizzò cogli occhi iniettati e le vene della fronte inturgidite dal
lungo star china, e disse con profondo sconforto: — Ma è una vita
d'inferno!
— Eh! Laggiú, Nanna! Al lavoro! — gridò l'assistente....(Le citazioni sono tratte da "In Risaia" di Marchesa Colombi, Liber Liber).
E
l'iconografia delle mondine è sempre quella; la schiena spezzata in
due, il capo chino quasi a sfiorare la melma, le gambe ad ammollarsi
nell'acqua piena di sanguisughe
che ti toglievano, insieme alla vita, la forza, e di malaria, endemica in
quei pantani, e le cui febbri ti
riducevano pelle ed ossa.
I canti,
rilanciati da una parte all'altra della risaia esprimevano il dolore e
lo sconforto, ma anche rabbia e rivendicazione sociale:
Se otto ore vi sembran poche,
provate voi a lavorare
e troverete la differenza
di lavorar e di comandar.
Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
per amor dei nostri figli
sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
socialismo noi vogliamo
Alla
sera si cercava un po' di svago e spesso si ballava per dimenticare la
durezza del giorno: nascevano così brevi amori stagionali, destinati a lasciare senza speranza l'ingenuo morettino:
Addio morettin, ti lascio, finita è la mondada,
tengo un altro amante a casa, tengo un altro amante, a casa;
addio morettin ti lascio, finita è la mondada
tengo un altro amante a casa più bellino assai di te.
E se questa iconografia è ancora presente in alcuni paesi del sudest Asiatico, da noi in risaia lavorano ormai le macchine e i diserbanti; una vista meno romantica ma più consona alla nosta civiltà.
Il riso così, piantato, mondato e raccolto sfama miliardi di persone in tutto il mondo con le sue innumerevoli varietà, di tutti colori (persino nero) e tutte buonissime.
Centinaia
sono le varietà di riso nelle due grandi categorie: long grain (chicco
lungo) e rond grain (chicco tondo) le cui differenze sono non solo di
tipo "geometrico", ma anche di comportamento alla cottura, in quanto i
primi tendono a rimanere sgranati, mentre i secondi tendono a legare tra
loro consentendo la mantecatura che è tipica dei risotti.
E
qui trova origine la peculiarità tutta italiana che è stata
l'"invenzione" del risotto, che non è un prodotto, come il riso lesso
tipico delle culture orientali, ma un piatto cucinato che appartiene
indissolubilmente alla tradizione gastronomica italiana, del Nord per
essere precisi, tra il Piemonte e la Lombardia, per essere più precisi.
Lì
è nato - soffritto, tostatura, brodo e mantecatura - e da lì si è
arricchito delle integrazioni e delle varianti dettate dalle
consuetudini locali, per poter entrare nelle cucine centromeridionali
con straordinarie preparazioni "anomale": i supplì romani, la tiella
barese, l'arancino siciliano, il sontuoso sartù napoletano, facendo sì
che in nessuna cucina del mondo sono sì conosciute ed esaltate, come in
quella italiana, le innumerevoli potenzialità e virtù del riso.
Vedi la parte I - dalla scoperta alla coltivazione
Riso in cagnone