Ma Dio si accorse che mancava qualcosa e inventò il Verbo, guardò il Creato e disse: "VA!" e voleva dire: "NON VA ANCORA BENE!"; allora sputò per terra e dalla terra nacque l'uomo il quale asciugandosi il viso disse: "Accuminciammo!" e voleva dire: "Incominciamo bene! [1]".
L'uomo guardò Dio e disse; "Sei?" e voleva dire: "Chi
cazzo sei?" e Dio guardò l'uomo e disse: "SAREBBE SEI? ..... SONO!" e voleva dire: "COME
SAREBBE "CHI CAZZO SEI?" IO
SONO IL SIGNORE DIO TUO!" ma l'uomo che non capiva cosa volesse dire, non solo non rimase impressionato, ma non se fregò per niente.
E Dio, allora, per dimostrare la Sua potenza ed ingraziarsi l'uomo creò la donna, la quale guardando l'uomo disse:"E'?" e voleva dire "E' tutto lì?"
Allora Dio decise che mancava ancora qualcosa e inventò il
sostantivo, l'aggettivo, il pronome, l'avverbio, la preposizione e la
congiunzione; e fu di nuovo il Caos.
L'uomo incominciò a parlare in tutte le lingue e il
Signore, pur essendo quello che era, faceva fatica a capirlo, figuriamoci gli
uomini tra di loro.
E allora Dio, che non poteva dire parolacce in prima persona, mandò l'arcangelo Gabriele con la spada fiammeggiante che disse: "CI
AVETE ROTTO I COGLIONI!", e voleva dire "NON SE NE PUO' PIU' DI VOI UMANI, ANDATE A LAVORARE COL SUDORE DELLA FRONTE!" se ne andò, maledicendo l'uomo.
E l'uomo maledetto dal Signore andò ramengo per il mondo e
lavorò la terra col sudore della propria fronte e la seminò, nacque così il
grano, il mais, il riso o il farro a seconda dei posti.
L'uomo rimase soddisfatto di quello che aveva fatto e
subito assaggiò il frutto del proprio lavoro e disse: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te- pos-sìn, ghe sghifo,
naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto.
E anche la donna assaggiò il frutto del lavoro dell'uomo e
disse: "Te l'avevo detto io che sarebbe
stato uno schifo; tu non mi stai mai a sentire, fai sempre di testa tua; come
puoi pensare di lavorare la terra col sudore schifoso della tua fronte, ci
voleva l'aratro o il trattore; ah, ma perché ho sposato un imbecille che non sa
neanche inventare una vanga, me lo diceva mia madre, etc..."
(tralasciamo per brevità la traduzione nelle altre lingue, tanto il concetto
non cambia).
Allora l'uomo prese un grosso masso e lo scagliò verso la
donna, ovviamente la mancò, ma spiaccicò il frutto del proprio lavoro e vide
che ne usciva una farina; cautamente l'assaggiò e disse: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te-pos-sìn, ghe sghifo,
naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto.
La donna, sdegnata, si astenne dal commentare
ulteriormente, temendo che l'uomo aggiustasse la mira, si allontanò e da quella
notte rifiutò di farsi conoscere dall'uomo.
Durante la notte piovve e l'acqua si mescolò a quella
farina e ne venne fuori una pappetta immonda e la pappetta lievitò, si gonfiò e
crebbe fino a raggiungere la dimensione di un pallone.
Al mattino l'uomo si svegliò, incazzato come una biscia,
perché non aveva potuto conoscere la donna, e vide il frutto del proprio lavoro
divenuto un pallone; cautamente si avvicinò e ancor più cautamente l'assaggiò ma tornò a ripetere: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te-pos-sìn, ghe sghifo, naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto. L'uomo deluso per tanto lavoro finito in pappa spiaccicò, con un bastone, quella "cosa"
sulla pietra e giurò che mai più avrebbe seminato col
sudore della propria fronte e se ne andò a caccia; era più sicuro.
Il sole arroventò le pietre e nel pomeriggio la donna,
passando per il luogo dove giaceva la "cosa" spiaccicata, vide che si
era cotta e sentì che aveva un profumo accettabile, l'assaggiò e disse: "Bah, boh, beh, etc…" a
seconda della lingua del posto e pensò che se fosse stata insaporita con delle
bacche e del grasso, forse qualcosa se ne poteva ottenere.
Qualche giorno dopo presentò all'uomo la novità che aveva
inventato, la "cosa insaporita", l'uomo l'assaggiò e disse: "Mbé, quasi-quasi, good, buono, gut, Se-po’-fah, tran-cin, a me piagere,
lek-kor-niah, etc…" a seconda della lingua del posto, ed era contento
perché avrebbe fatto la pace con la donna e che da quella notte l'avrebbe
nuovamente conosciuta.
E fu così che la "cosa" incominciò la sua
storia. Ben presto fu anche chiaro che "la cosa" andava mangiata
cotta, perché cruda era ed è tuttora pessima tant'è vero che la chiamano
"colla di farina", il che dice tutto.
[1]
Giobbe Covatta - "Dio li fa e poi l'accoppa" - Mondadori Editore -
Milano (1998)
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