venerdì 22 marzo 2013

La Sacra Pizza (5): Scritti

Cantico dei Cantici


'A PIZZA

Pizzaiuo', m'he 'a fa' 'na pizza
muzzarella e pummarola...
Ma ll'he 'a fa' cu 'e mmane, 'o core
e.. 'a fronna 'e vasenicola,
Falla bbona!

Mana grassa a muzzarella,
miette ll'uoglio, miette 'o sale...
Falla fa' cchiù arruscatella:
quanno é cotta nun fa male...
Cotta bbona!

E vullente, 'a dint' 'o furno,
nun l'he 'a mettere 'int' 'o piatto
ca si no perde 'o sapore...
Io m' 'a piglio e 'a chiejo a libretto...
Quant'é bbona!

E cu famma e devuzzione
magno primma 'o curnicione...
'O profumo é saporito!
Mentre magno sto abbuccato
p' 'o... vestito.

Comme coce! E quant'é bella!
Comme fila 'a muzzarella!
Muorzo a muorzo 'haggio magnato...
Pizzaiuo' he 'a campa' cient'anne!
Pizzaiuo' me so' sfizziato!!!...(Lello Lupoli)

Lamentazioni

'A PIZZA

Io te 'ncuntraje:
na vocca rossa comm'a na cerasa,
na pelle prufumata 'e fronne 'e rose....
io te 'ncuntraje...
Volevo offrirti,
pagandolo anche a rate...
nu brillante
'e quínnece carate...

Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza, 'a pizza...
cu 'a pummarola 'ncoppa,
cu 'a pummarola 'ncoppa,
Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza, 'a pizza,
cu 'a pummarola 'ncoppa...
'a pizza e niente cchiù!...

Io te purtaje
addó' ce stanno 'e meglie risturante...
addó' se mangia mentre 'o mare canta...
io te purtaje...
Entusiasmato 'a tutte st'apparate,
urdinaje
nu cefalo arrustuto...

Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza, 'a pizza...

    Io te spusaje...
'o vicinato e 'a folla d''e pariente,
facevano nu sacco 'e cumplimente,
io te spusaje...
All'improvviso,
tra invite e battimane,
arrevaje
na torta 'e cinche piane...

Ma tu vulive 'a pizza,
'a pizza, 'a pizza... (Giorgio Gaber)

"Non è vero che tutto fa brodo...

è Lombardi il vero buon brodo..."; così cinguettava un coretto in un Carosello del 1965 riguardo un dado da brodo, ormai scomparso fagocitato da qualche vorace multinazionale del cibo.
Oggi c'è la massaia, novella Brunilde, che chiede ad un brodo in pentola: "Brodo delle mie brame, qual'è il più buono del reame?".
Qualcuna gareggia con un sedicente chef, lo si capisce dalla velocità supersonica con la quale affetta zucchine:"...tale e quale al mio", "proprio sicura?" e si parla di una pasta gelatinosa, un "cuore (sic!) di brodo", da aggiungere alle pietanze per insaporirle.
I protagonisti di questi spot sono sempre due: una donna, carina, giovane, sposata, inesperta e beota che "ama" cucinare per un marito ancora più beota di lei e per la vittima sacrificale della famiglia, "il figlio" ignaro di quello che lo aspetta, e l'industria alimentare multinazionale, che rassicura, consiglia e garantisce. Il messaggio è chiaro: "occupati di altro, al cibo ci penso io, stai tranquilla che è tutto genuino, tutto controllato, non sporcherai, farai bella figura..." e le lusinghe delle sirene del cibo blandiscono i consumatori, li allettano con promesse strabilianti a cui non si può dire di no.
Ed il consumatore - consumatore sì, non persona o cittadino - abbocca; è fermamente convinto che il prodotto che ingurgita sia il meglio che possa avere, gli risolve un sacco di problemi, tanto, male non può fare perché verso quelle aziende alimentari si ha fiducia.
E così quattro salti, saccocci, precotti, cartocci "a regola d'arte" (sic!) finiscono nelle dispense dei consumatori, sempre più volutamente distratti dai rutilanti Caroselli.
Spesso il proprietario di qualche azienda mostra il suo volto, pacioso, da nonno, ci mette la faccia, e giura che quello che propone è fatto proprio come si faceva una volta.
Già, come si faceva una volta! Perché è evidente che il richiamo ad "una volta" è il richiamo ad un cibo migliore, genuino, saporito di suo; questo è implicito nei messaggi pubblicitari, ti fanno immaginare che il prodotto è identico se non migliore di quello di una volta, ma è solo immaginazione.
La realtà, come ci dicono le notizie ogni giorno, è ben altra; quello che ci propinano, quando non ti truffano o ti fa male, è una porcheria gastronomica, piatta come un'autostrada, insulsa e vuota come una sedia inusata..
E' di questi giorni un'inchiesta de "L'Altro Consumo" sui prodotti da brodo e le conclusioni sono desolanti: contenuto di sale dal 50% in su, grassi (quali?) tanti, tracce di estratto di carne (quando c'è) e glutammato di sodio (l'unami: il sapore della carne) a iosa.
Dovremmo avere il coraggio di lasciarli sui banchi dei supermercati a fare la fine che meritano, nell'umido a diventare compost, invece...:"Tanto male non fa(rassegnato), "Li uso una volta tanto...(giustificante)" oppure, sbrigativo: "Non ho tempo".
Forse qualche prodotto decente c'è, a cercarlo bene, ma nei supermercati impera solo la grande industria alimentare, la peggiore, e poi, abbiamo gli strumenti per poter discernere, scegliere con cognizione di causa? Non credo.
Ci possiamo invece difendere: facendo da noi i dadi da brodo, gli estratti.
Sappiamo cosa utilizziamo, sappiamo come lo facciamo e soprattutto occorre un tempo ragionevole: due ore, due ore e mezzo al massimo di vero impegno attivo (neanche tutte insieme) e ve lo dimostro.


Estratto di carne


Ricetta classica, era ed è tuttora utilizzata dai grandi chef durante le pausa di lavoro in modo da avere sempre pronto un brodo, ingrediente fondamentale per moltissime preparazioni.
Dal macellaio ci facciamo dare un paio di chili di carne da brodo sgrassata e qualche osso , specie quello di ginocchio, freschissimo. Utilizzeremo poi: 1 kg di pomodori, 3 cipolle medie, 3 carote, 4-5 coste di sedano, un paio di foglie di alloro, un rametto di timo, uno di maggiorana, sale e pepe q.b. 
Possiamo incominciare lavando bene la carne e le ossa e ponendo tutti gli ingredienti, tranne il sale, in una capace pentola riempiendola di acqua fredda. Tempo impiegato: circa 20-30 minuti. 
Accendiamo il gas a fuoco molto basso e possiamo uscire per le nostre cose.
Portare lentamente ad ebollizione il tutto e solo da quando inizia il bollore schiumeremo periodicamente; la cottura deve avvenire lentamente e può durare anche una giornata (dipende dalla quantità di acqua), ma niente paura, nel frattempo possiamo fare altre cose.
Dopo 4-5 ore la carne sarà stracotta e si avranno circa 5-6 litri di brodo nella pentola.
Gettiamo le ossa, filtriamo il brodo in una pentola più piccola e passiamo al setaccio fine (o mixer) la carne e le verdure fino ad ottenere una purea che uniremo al brodo.
Poniamo la pentola al fuoco lento e lasciamo addensare il tutto, schiumando periodicamente.
Quando il composto avrà raggiunto la densità del miele, lo peseremo e aggiungeremo 70-80 grammi di sale per ogni chilo di estratto.
Continuiamo ad addensare mescolando con cura, schiumando e prestando attenzione che il composto non si attacchi al fondo della pentola. Unica fase dove occorre una presenza attiva.
Quando si avrà una massa densa, omogenea e lucida come una marmellata l'estratto è pronto e avremo davanti a noi due possibilità:
  1. Versare ancora caldo l'estratto in vasetti di vetro asciutti e pulitissimi; chiuderli subito ermeticamente, coprirli con un panno e lasciarli raffreddare prima di riporli in un luogo fresco ed asciutto (qualcuno li sterilizza in acqua bollente per una 40 di minuti, ma non è necessario).
  2. Versare l'estratto nelle vaschette per il ghiaccio, quelle con i cubetti non troppo grandi, coprirle con carta argentata, aggiungere un'etichetta e riporle, appena fredde, nel freezer.
Un cubetto o un mezzo cucchiaio verrà usato come se fosse un dado o un "cuore" di brodo e quando lo useremo sapremo perfettamente quello che stiamo per mangiare.

martedì 12 marzo 2013

"Der Mensch ist was er isst” ovvero "L'uomo è ciò che mangia"

"Il mistero del sacrificio o l'uomo è ciò che mangia" significativo è il titolo di uno scritto del 1862 del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872): cioè esiste un'unità inscindibile fra psiche e corpo, per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio, se il nostro corpo sta bene ed è bene alimentato, riesce a pensare meglio e a liberarsi.
Qualche milione di anni fa gli uomini, quando avvertivano il bisogno di saziare il loro stomaco andavano a caccia: il rituale incominciava disegnando sulle pareti delle caverne, che avevano abilmente sottratto agli orsi, quello che avrebbero cacciato, preparavano le armi e le strategie a seconda dell'animale che dovevano prendere. 


E tutto si svolgeva in assenza di un linguaggio codificato: non c'erano idiomi universali, non esisteva una scrittura o dei segni decifrabili dagli altri. Ma questi impedimenti non compromettevano l’esito della caccia, si comunicava attraverso i gesti, si individuava la preda dal disegno, si mimava la battuta di caccia, si stabilivano ruoli, tempi e movimenti.
I cacciatori sapevano cosa avrebbero portato alle loro grotte quando sarebbero tornati dalla battuta.
Potevano trascorrere giorni prima di  riuscire ad individuare la preda, ma questa sarebbe stata scelta in una mandria di animali che sarebbe passata in quei luoghi in quel determinato periodo, un appuntamento sicuro con quell'animale, in quella stagione e in quel posto. 
Potevano esserci feriti durante la battuta di caccia. Potevano esserci delle vittime durante l’estrema lotta dell’animale per la sopravvivenza. Ma i cacciatori sapevano che avrebbero mangiato quell'animale, quello che avevano disegnato nella grotta e scelto nella mandria.
Oggi andiamo a fare la spesa in un supermercato; uno dei tanti, tutti uguali, con l’aria condizionata, il parcheggio gratuito, lo sgradevole odore identico a quello di tanti altri supermercati - un misto di detersivo e di indefinito - la cassiera svogliata e la raccolta punti. 
Abbiamo una vaga idea di cosa comprare, spesso la spesa è uno sfogo, una cosa da fare per riempire il tempo in un pomeriggio afoso, probabilmente il frigo è talmente pieno che le nuove compere non ci entrerebbero neppure. 
Come anime vaganti ci muoviamo, a ritmo di musiche anonime, tra i gironi del Supermegafantamercatone, guardiamo, tocchiamo, leggiamo alla ricerca di qualcosa; colori, pubblicità, certezze sull'etichetta, dubbi nella scatola.  
Finalmente un lampo! La cena! Ecco cosa ci serve: la cena! Con un frigo strapieno di roba dobbiamo comprare ancora qualcosa per la cena. 
Nel frigo, a casa, ci sono solo schifezze! Questa è la convinzione che ci prende nella testa mentre giriamo nel reparto dei cibi Semilavorcotti, quelli di gomma con l’etichetta ecologica, certificata, no OGM, no pesticidi, no ratticidi, coltura biologica, 30% di grassi in meno, pronto in 5 MINUTI e, per finire, RICCO DI FIBRE… quasi a presagire l’unica cosa buona che si possa fare con un cibo del genere!   
Alla fine compriamo; l’etichetta cita: “Rotorollè di tacchino senza grasso, ripieno di Fantasia di formaggi tipici della Val di Sola, aromatizzato al Tartufo albanese con Carezza di Prosciutto di Impostura Superiore”. Scontato, in offerta 3x2, con saponetta al mirto in omaggio, nella borsa “Tuttomare 2012” e tutto a due euro e novantanove.
Mi sento male!
Ripenso agli uomini primitivi che, senza aria condizionata, senza  etichette, senza cassiera, avevano ben chiaro quello che avrebbero mangiato, hanno mangiato bene e si sono evoluti, ma noi?....