sabato 21 settembre 2019

Maccheroni


maccherone
/mac·che·ró·ne/
sostantivo maschile

1.    (spec. al pl. ). Pasta alimentare di semola di grano duro, senz'uova, da mangiarsi asciutta e condita in vari modi; part., nelle regioni meridionali, spaghetto o bucatino; in Toscana, tipo di pasta all'uovo fatta in casa col matterello, tagliata a strisce molto più larghe delle tagliatelle; nell'uso internazionale, qualsiasi tipo di pasta da farsi asciutta secondo il tradizionale modo degli italiani.

Formati di "maccheroni"
Oggi in Italia si consuma una pasta secca chiamata maccheroni fatta di semola di grano duro e acqua, ma il termine indica due cose diverse: nell'Italia meridionale è sinonimo generico di pasta di vari formati, nel resto della penisola rappresenta una pasta a forma di tubo corto o lungo.
Tale confusione lessicale va sostanzialmente attribuita alla più antica origine e al più vasto e generico significato del vocabolo maccheroni rispetto a quello più ristretto che ha assunto progressivamente negli ultimi due secoli per ogni tipo di pasta.
Ad esempio nella celebre scena del film "Un americano a Roma" in cui Alberto Sordi mangia un piatto di pasta si riferisce ad esso con il termine "maccheroni" pur trattandosi evidentemente di spaghetti.
L'origine della parola, secondo il linguista Giovanni Alessio, sarebbe tratta dal termine greco bizantino μακαρώνεια (makarṓnia) ossia «canto funebre», che sarebbe passato a significare «pasto del funerale» e quindi di «pietanza da servire» durante questo officio, oppure dal greco μαχαρία (macharía), «zuppa d'orzo» (anche questo, da μάκαρ (machar) col significato di "beato".
Secondo Giacomo Devoto, maccherone è una derivazione dal latino maccus, "purea di fave", che veniva schiacciata, "ammaccata", come appunto è ridotto in polvere il frumento per trarne la farina (da notare che Maccus, personaggio della farsa atellana del teatro latino, viene descritto col nasone e   perennmente affamato così come il nostro Pulcinella sempre a caccia di "maccheroni").
Maccus, precursore di Pulcinella
In passato si pensava che la pasta fosse stata importata da Marco Polo di ritorno dal suo viaggio nel Catai, in realtà la pasta era già conosciuta sin dall'epoca dei romani sotto forma di pasta fresca (impasto di acqua e farina come si usa ancora oggi) e la versione secca, inalterabile, facilmente trasportabile e pronto all'uso, essendo sufficiente solo un recipiente con acqua bollente per renderlo commestibile, sembra fu introdotto in Italia dai commercianti arabi. 
La diffusione dei maccheroni ha avuto origine, non da Napoli come generalmente si crede, ma dai primi sbarchi arabi in Sicilia e successivamente in Liguria in quanto i Genovesi, grazie ai traffici con l'Oriente, detenevano un quasi monopolio nel commercio del grano Mediterraneo.
Il primo documento scritto sul quale compare il nome di questo impasto risale al 1279, un'inventario notarile di beni appartenenti al milite genovese Ponzio Bastone: "barixella (cesta) una, plena de macharonis". 
Ritroviamo la parola "maccherone" fra le leccornie del Boccaccio, usata genericamente per indicare un impasto di qualunque formato, in genere gnocchi: "...in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale... eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli (1), e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva ..." Giovanni Boccaccio - Decameron. 
Molto più tardi, Giovan Battista Basile, nel celebre “Lo cunto de li cunti, o Lo trattenimento delli piccirilli”, nella favola di Cenerentola, scrive: ...”Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sopressate e le polpette? Addò li maccarune e li graviuole?"
Furono loro, i napoletani, a mettere ordine nella confusione linguistica: per loro i maccheroni era soltanto la pasta lunga trafilata, di cui erano nel frattempo diventati dei gran consumatori.
Non c'é dubbio che i primi fast-food siano nati a Napoli: erano nient’altro che grandi pentoloni fumanti, pieni di maccheroni in cottura, che venivano serviti sulla bancarella: perché tutto questo accadeva non all’interno di un locale, ma “in mezzo alla strada”, come si dice a Napoli. I maccheroni si  mangiavano così: presi dal pentolone fumante affiancato dal piatto di terraglia piena di formaggio grattugiato e pepe, senz’altre posate se non le mani e conditi con l’enorme, atavica fame del popolo partenopeo. 
Un osservatore francese scriveva "quando un lazzarone ha guadagnato le quattro o cinque monete che gli bastano per comprarsi i maccheroni, non si preoccupa più del domani e smette di lavorare". (2)
L’immagine dello spiantato che, con la testa buttata all’indietro, si faceva scendere in bocca una manciata di pasta, fece il giro d’Europa e divenne un fatto di folklore: il popolo partenopeo, fino ad allora definito mangiafoglie perché dedito ad un notevole consumo di cavoli e broccoli, si vide affibbiare un nuovo soprannome, quello di mangiamaccheroni.

Mangiamaccheroni "in posa"
Fu il solito rozzo e volgare "re nasone" Ferdinando I di Borbone che elevò, oltre la pizza, i maccheroni come cibo di corte. Un ospite irlandese della corte borbonica che aveva assistito a un pasto regale, lo descriverà così: "Li afferrava tra le dita, torcendoli e stiracchiandoli, e poi infilandoseli voracemente in bocca, disdegnando con la massima magnanimità l’uso di coltelli, forchette o cucchiai, o qualsiasi altro strumento eccettuati quelli che la natura gli ha gentilmente messo a disposizione".
Ma il termine “maccarone”, a Napoli, viene anche usata per indicare (e per sfottere) una persona imbranata, priva di quella sveltezza di mente che a Napoli è d'obbligo. Ma non è proprio un insulto: con appena un po’ di condimento, il “maccarone” può diventare un piatto prelibato. Un po’ come accade per il broccolo (la cima di rapa): basta un po’ d’olio, e qualche piccolo trucco nella cottura, e “ ‘o vruoccolo”, diventa, come per magia, Sua Maestà il Friariello.   

Maccheroni nella cultura

Proprio dai maccheroni prende nome il latino maccheronico, un genere letterario creato nel Cinquecento dal mantovano Teofilo Folengo mescolando la pomposità della lingua latina usata dai dotti e dai potenti con l'irriverenza e la meschinità di fatti e argomenti popolareschi (simboleggiati appunto dai maccheroni).
Il termine maccheroni, abbiamo visto, avrebbe una radice da gioia, beatitudine e non sorprende che ai maccheroni venisseri dedicati persino brani musicali da insospettabili autori come il severo ed austero musicologo, maestro finanche di Mozart e Jommelli, qual era il Padre Giovanni Battista Martini (Bologna 1706-1784) il quale compose questo canone a tre voci: 
Come son boni li macheroni!
Voi che ascoltate voi ne mangiate
 Al color al sapore
 Mi par che ne mangiate a tutte l’ore. 

Più di recente, la Nuova Compagnia di Canto Popolare invoca una sorta di preghiera affinché abbondanza e felicità fossero regalati alla povera gente, ne "Sotto il velo del cielo":
...Vulesse ca stu cielo s'arapesse                                (...Vorrei che questo cielo si aprisse
 pe' tutt''a gente ca nun tene niente,                           per tutta la gente che non tiene niente,
 scennesse l'acqua santa pe' terre addò nun chiove  scendesse acqua santa sulle terre dove non piove
 e frutta, miele, pane e vino nuovo.                           e frutta, miele, pane e vino nuovo.
 Vulesse ca chiuvesse, chiuvesse maccarune,           Vorrei che piovesse, piovessero maccheroni,
 li prete de la via caso rattato,                                  e che le pietre della strada (fossero) cacio grattato,
la muntagna 'e Somma fosse carne arrustuta,          e che la montagna di Somma fosse carne arrostita
 e tutta l'acqua 'e mare vino annevato.                      e tutta l'acqua del mare vino ghiacciato).

Segno concreto di come la fame, il cibo, il mangiare, l’amore, la passione, l’eros, la seduzione, il piacere e la serenità dalle ossessioni, siano quasi riuscite a unificare il rapporto tra cibo, parola e arte in una serie di relazioni metaforiche, che trasformano un alimento in oggetto-simbolo di vita, di felicità e di benessere.  
Nel cinema, celebri sono le scene in cui vengono citati i maccheroni, come in Miseria e nobiltà, Un americano a Roma, Vacanze intelligenti, Mangia, prega ama...


Ma non sempre la pasta (i maccheroni) ha avuto il plauso del mondo letterario. Nella satira “I nuovi credenti”  Leopardi  scrisse che i Napoletani avevano costruito la loro  filosofia dell’Essere sul “piatto di maccheroni”, e perciò erano felici: ma di quella felicità che viene dall’ignoranza.
...Tutta in mio danno
s’arma Napoli a gara alla difesa
de’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni
anteposto a morir troppo le pesa...
Questo “affronto”non poteva passare impunito al punto che il poeta napoletano Gennaro Quaranta, ne "La Maccheronata", rispose:
E tu fosti infelice e malaticcio
o sublime cantor di Recanati…
Ma se tu avessi amato i maccheroni
più de’ libri che fanno l’umor negro,
non avresti patito aspri malanni… 
E vivendo tra i pingui bontemponi
giunto saresti, rubicondo e allegro, 

forse fino ai novanta od ai cent’anni… » 

E che dire di Filippo Tommaso Marinetti che, nel Manifesto della Cucina Futurista del 1830, si scagliò contro “la pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana, simbolo passatista di pesantezza, di ponderatezza, di tronfiezza”.
Ma lo stesso Marinetti, sorpreso a Milano nell’atto di divorare un grosso piatto di spaghetti, giocò d’anticipo, scrivendo di sé: 
“Marinetti dice basta
messa al bando sia la pasta.
Poi si scopre Marinetti...
che divora gli spaghetti”.
Con l'ovvio significato che, davanti ad un piatto di maccheroni, tutte le ideologie si sgretolano miseramente e che ogni resistenza a quella tentazione è assolutamente inutile.

Notizie e foto prelevate qua e la nella rete e no, se qualcuno si sente defraudato, sarò lieto di rimuovere quanto incriminato

(1) Molto probabilmente gnocchi e "raffioli", dolce napoletano di forma ellittica, ricoperto di glassa e mangiato tipicamente a Natale insieme ai roccocò, susamielli, struffoli e mustaccioli.

(2) Con il termine lazzari (o anche lazzaroni) si indicavano i giovani dei ceti più popolari della Napoli del XVII-XIX secolo. Particolarmente famoso fu il ruolo da loro svolto nella difesa della  Repubblica Napolitana nel 1799, sostenuta dalla Francia, contro la restaurazione dei Sanfedisti guidati dal cardinale Ruffo. Infatuati del principio di libertà, proprio della Rivoluzione Francese, si consideravano estranei alla società del momento; sopravvivevano, da miseri, con i frutti della campagna circostante, si adattavano a compiere lavoretti, quando si presentavano, non disdegnando talvolta di compiere qualche piccolo furto o raggiro e, più spesso, mendicando. Per questo motivo il termine lazzarone, è sinonimo nell'italiano comune di persona pigra o poco di buono.


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