venerdì 19 settembre 2014

5/4 ovvero quinto quarto

Non è un paradosso perché parliamo di musica e no. 
La musica é fondamentalmente simmetrica. Tutta la musica che "funziona", che entra subito in testa,è in 4/4 perché è il ritmo più facile da "prendere", inoltre è il tipico tempo che consente di ballarci sopra facilmente visto che, ogni volta che inizia il giro (battuta), ci troviamo con lo stesso piede (la macarena ed altri balli "di gruppo" deve essere in 4/4 altrimenti ci si pesterebbe i piedi).
Più ci si allontana dal 4/4 più l'ascolto diventa impegnativo perché il ritmo non è più scontato. 
E' comunque una questione di abitudine poiché il tempo di valzer è dispari (3/4: un, due, tre, un, due, tre...), un 5/4 lo batti tranquillamente con il piede, perché, generalmente (istintivamente), il piede batte i quarti. Solo che per fare una battuta devi batterlo 5 volte anziché le canoniche 4.
Un bellissimo esempio di un ritmo di 5/4 è il famoso "Take five" del sassofonista Paul Desmond, qui riprodotto in una delle innumerevoli esecuzioni col quartetto del pianista Dave Brubeck. 
Si tratta di un brano delizioso, ritmico ed incalzante, elegante e raffinato come pochi nel mondo del jazz, eppure che "piglia" immediatamente, pur essendo scritto con un ritmo "dispari".
Si sa che anche la Cucina è un'armonia, di sapori e di profumi, ed allora l'affinità con la musica, anche se spesso unita al paradosso diventa naturale: un accostamento obbligato come lo champagne con le ostriche.
Atteso che un animale, un vitello, ad esempio, sia composto di quattro quarti, un'idea "facile" da prendere: 2 quarti anteriori, 2 quarti posteriori e la bestia è finita, diventa complicato trovare il "quinto" quarto, a meno che non si ricorra all'idea del miracolo. Invece no! 
I quattro quarti, quelli pregiati, vengono venduti al mercato (una volta venivano "dati" ai Signori e ai Padroni), rimane la carcassa, il quinto quarto come si dice: testa, polmoni, cuore, fegato, milza, cervello, stomaci, pancreas, timo, intestini, mammelle, granelli, zoccoli e coda; insomma, tutto quanto la maggior parte delle persone non osa chiedere e mangiare. Che errore! 
A seconda della bestiole, il quinto quarto, detto anche "frattaglie" è quanto di più gustoso ci sia in un animale edibile, dalla trippa al "musso", dal piedino di maiale alla pajata, dalla "zuppa forte napoletana" agli "gnummarielli" o "gnummareddi" di agnello, per non parlare della "testina di maiale in gelatina o della lingua in varie salse, insomma un intero mondo di succulenti leccornie.
L'onnipresente nutrizionista ci informa che le frattaglie vantano un contenuto calorico mediamente inferiore a quello della carne (tranne la lingua); forniscono molte proteine di ottimo valore e ferro in grande quantità e perfettamente bio-disponibile. Anche l'apporto vitaminico è notevole: del gruppo B, sono presenti proprio le vitamine B12 e B9, ottime per contrastare l'anemia, quindi un prodotto ipocalorico e antianemico.
E così, come battere un ritmo 5 volte col piede diventa naturale e gradevolissimo, scoprire l'armonia del quinto quarto è un'esperienza da fare, deliziosa, elegante, raffinata e, udite, udite, nutriente e ....pure light. E vai!


Trippa, trippa, trippa
Trippa co' caso e ova

giovedì 18 settembre 2014

Minestra di Torzelle all'olio


Un'altra ricetta "povera" che il grande Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino, letterato e grande cuoco del XIX secolo, autore di quel libro "La cucina teorico pratica", anche in versione "napoletana" del 1839, ci ha tramandato nei secoli, con la sua sapienza nell'arte della buona cucina. Un'altra ricetta che ha per protagonista la "torzella", un ortaggio "antico" dal sapore delicato che può arricchire la normale routine della cucina giornaliera. 
Qualche notizia in più sulla torzella o "tostariccia", la trovate qui, in questo blog.
Delle torzelle si prendono le sole cimette e i gambi più teneri, da far cuocere con l'olio e le alici.

Insomma, per le solite quattro persone:
  • 1 kg di torzelle,
  • 6 acciughe salate lavate e diliscate,
  • 1 dl circa di olio extravergine,
  • 2 spicchi d'aglio,
  • sale e peperoncino piccante: qb.
Preparazione:
  1. Lavate  e lessate le torzelle in acqua bollente salata per circa 10 minuti (anche meno se sono tenere e piccole le foglie);
  2. Levatele e scolatele;
  3. In tegame fate andare l'aglio nell'olio fino a che non diventi biondo,
  4. Levate l'aglio e unite le acciughe che lascerete dissolvere in parte,
  5. Unite le torzelle, un mestolino di acqua e lasciate insaporire un quarto d’ora o più aggiustando eventualmente di sale e peperoncino se piace.
Si mangi con il pane e ci si beva un bianco fruttato e deciso.


Foto tratta dal blog di Luciano Pignataro

mercoledì 10 settembre 2014

Cefalo alla Martigues

Martigues è una cittadina situata a pochi chilometri da Marsiglia. L'abitato si distende lungo il canale di Caronte, che collega il Mediterraneo allo stagno di Berre, uno specchio di acqua salmastra. Martigues si trova al capo est del canale, all'imbocco dello stagno, ed è forse per questo che il cefalo qui è di casa. 

La preparazione che propongo è tratta dal volume "Il mare in pentola" di Alan Davidson (Ed. Oscar Casa Mondadori - 1972) ed è di una semplicità estrema oltre che gustosa ed adatta ad un pesce non proprio pregiatissimo.

Per quattro persone:
  • Un bel cefalo (possibilmente un auratus o un bosega) da circa 1 kg
  • 1 cipolla grande da tagliarsi ad anelli
  • 400-500 gr di pomodori da tagliarsi a fette o datterini tagliati a metà
  • 1 limone da tagliarsi a fette
  • 1/2 bicchiere di vino bianco e 1/2 di acqua
  • olio, sale e pepe qb.

Preparazione:
  1. Squamate, eviscerate e lavate il cefalo (preferibilmente dorato, ma comunque freschissimo)
  2. Ponete il pesce in una teglia da forno, sopra un letto di pomodoro e anelli di cipolla.
  3. Bagnate con un filo di olio, col vino e l'acqua; condite con il sale e il pepe
  4. Disponete sul pesce una fila di fette di limone in modo da sovrapporle leggermente



  5. Cuocete in forno moderato per 25-30 minuti.


Le chilocalorie sono circa 250-260 a porzione, ovviamente se facciamo la scarpetta che, con del buon pane cotto a legna, è d'obbligo, le chilocalorie aumentano; fate voi.

Da bere un bianco fresco e acidulo, per sgrassare, come La Falanghina dei Campi Flegrei, oppure un Asprinio di Aversa "I Borboni"


Ragù napoletano

Anteprima
Il termine ragù deriva dal francese ragoût, che descrive varie preparazioni di carni, ed è stato utilizzato con molta probabilità da un monsù napoletano nella presentazione di questo piatto che, però, nulla a che vedere né con le preparazioni francesi, né con le altre salse di pomodoro italiane.
La preparazione del ragù napoletano ha inizio con la scelta della carne e purtroppo non esiste concordanza di pareri, tra i cultori, sul tipo di carne che deve essere utilizzata nella realizzazione del sugo. 
In pieno accordo con quanto espresso da Raffaele Bracale, posso solo dire che il ragù più vicino alla tradizione e contemporaneamente all'equilibrio organolettico dei vari ingredienti è quello che utilizza la sola carne bovina, rimandando al blog dell'enogastronomo Luciano Pignataro, le puntuali e deliziose considerazioni di Raffaele Bracale sul "vero ragù napoletano" e lasciando al lettore le proprie scelte. 
Una considerazione: seguire la tradizione ciecamente e acriticamente lo considero un esercizio sterile e fine a se stesso; per quanto mi riguarda, della tradizione voglio seguirne  lo "spirito", adattando al presente i completamenti; pertanto nella preparazione del gran ragù alla napoletana mi sono attenuto a quanto espresso, rispettandone l'essenza.


Preparazione
Posto che troverete  nel sottostante "glossario" i termini incomprensibili ai non-napoletani, ci procureremo, in macelleria, per le classiche quattro persone:

  • quattro belle fette (da 150-200 grammi) di lòcena di manzo che prepareremo a "braciola"
  • una spalla di manzo di circa mezzo chilo, o lacerto di annecchia
  • (facoltative) un paio di tracchiolelle di maiale, oppure una gallinella di maiale di circa 500 grammi (mai le salsicce!), la carne deve essere cucinata intera, legata ben stretta.
  • almeno un chilo di passata di pomodoro (italiana), 
  • 250 gr. di concentrato di pomodoro (italiano), 
  • una-due belle cipolle gialle di media grossezza, 
  • 100 cc di olio extravergine di oliva, 
  • 150 grammi di lardo in una sola fetta, 
  • 1 cucchiaio di sugna, 
  • 1 bicchiere di vino rosso, 
  • basilico abbondante, 
  • sale  

Dimenticavo il tempo, procuratevene tanto, almeno 4-6 ore.
  1. "Allacciate", cioè tritate insieme la cipolla, il lardo e qualche foglia di basilico, fino ad ottenere una sorta di impasto omogeneo grossolano.
  2. In un largo tegame, possibilmente di coccio, fate soffriggere il trito precedente insieme all'olio e la sugna, fino a quando la cipolla non diventi trasparente.
  3. Aggiungete la carne e fatela "stordire" per bene, rimestandola spesso con una cucchiarella di legno di olivo. 
  4. Aggiungete il vino un poco alla volta e lasciatelo, ogni volta, evaporare. Le cipolle dovranno essere ormai ben rosolate e ogni traccia di liquido estraneo sarà sparita. In questa fase l'attenzione dovrà essere massima pena il rischio che si attacchi tutto e la cipolla si bruci. A questo punto possiamo quindi interrompere la preparazione (ad esempio di sabato) per riprenderla il giorno dopo.
  5. Versate nel tegame la conserva di pomodoro, diluita con un poco di acqua tiepida, lasciandola soffriggere nel grasso fino a che non diventi scurissima senza bruciare. Dopo di che, aggiungete la passata di pomodoro e iniziate la lentissima cottura a fuoco bassissimo, il ragù deve "pippiare", liberando in cucina lo splendido aroma del sugo che diventa sempre più dolce e profumato a mano a mano che la cottura procede. Rimestate periodicamente per evitare che il tutto si attacchi al fondo della pentola.
  6. Dopo circa due-tre ore, a seconda della consistenza, aggiungete qualche foglia di basilico e salate un poco.
  7. Continuate la cottura fino a quando la salsa non sarà diventata cremosa, di colore rosso scuro e il condimento, separandosi dal pomodoro, non sarà salito a galla. L'aroma sarà gradevolmente dolce e profumatissimo, il sapore indescrivibilmente buono.
  8. A cottura ultimata, lasciate riposare la salsa per qualche tempo, diventerà più matura e più saporita.
Con questo monumento dell'arte della cucina, condirete della pasta di Gragnano, rigorosamente grossa almeno come gli ziti spezzati a mano (è la morte sua, perché il sugo si insinua nella pasta raddoppiando il sapore), ma non si disdegnano i rigatoni o i paccheri, siamo nel campo del gusto personale.
Prima di impiattare, versate in una capace zuppiera qualche mestolo di ragù, aggiungete la pasta ben scolata, e rimestate fino a quando tutta la pasta sia stata bene avvolta dal sugo.
Impiattate aggiungendo una mestolata di sugo sui maccheroni, una spolverata di parmigiano o, meglio di caciocavallo stagionato, e guarnite con un paio di foglie di basilico fresco.

Il vino da abbinare, rigorosamente rosso e di medio corpo, sarà ovviamente un Piedirosso (Per' e palummo) beneventano o dei Campi Flegrei.

Glossario

Lòcenacarne ricavata tra la punta di petto e la clavicola dell'animale
Braciola: grosso involtino di lòcena, fermato con il refe da cucina o con gli stuzzicadenti, bene imbottito di sale, pepe, prezzemolo ed aglio tritati, uva passa e pinoli oltre che di pezzetti di formaggio romano e/o caciocavallo podalico (o parmigiano).
Lacerto di annecchia: Lombo di vitella di un anno.
Tracchiolella: costina di maiale, possibilmente vicina al collo, più tenera.
Gallinella: Stinco di maiale privato dell'osso.
Stordire la carneRosolare bene la carne rigirandola spesso in tutti lati. Fase molto importante perché prepara la carne alle successive fasi nelle quali si assorbono i sapori e si cedono i sughi.
Pippiarevoce onomatopeica indicante quella fase nella quale dal fondo della pentola, dove è in cottura la salsa, affiorano ripetutamente in superficie delle bolle d’aria che rompendosi producono un suono simile a quello di chi tira una boccata di fumo dalla pipa.


Noterelle a margine:
  • Durante la fase di "pippiatura", la pentola dovrà rimanere parzialmente coperta per mantenere costante la temperatura; ad, es. si può inserire la cucchiarella di legno tra il bordo della pentola e il coperchio per mantenerlo sollevato da un solo lato.
  • Molti fanno il ragù utilizzando le salsicce di maiale; non nascondo che anch'io le utilizzo per fare il sugo, ma il risultato è solo un "sugo", una carne ca' pummarola magari anche buonissima, ma generalmente piuttosto lenta e salsa, assolutamente non comparabile con la consistenza, la dolcezza ed il profumo del ragù tradizionale dal quale è molto lontana.
  • In molti testi viene utilizzato - orrore! - anche il burro; la ritengo un'"eresia", il burro è un condimento usato soprattutto al nord e non fa assolutamente parte della "tradizione" partenopea e col ragù non c'azzecca.
  • Qualcuno, al punto 6 della preparazione, aggiunge un pizzico di noce moscata: vale quanto detto al punto precedente.
  • Dopo un piatto di pasta col ragù non è necessario mangiare altro se non la carne utilizzata nella preparazione, condita con delle verdure cotte: a Napoli si usano i friarielli (sorta di tenerissime cime di rapa, da soffriggere a crudo in padella con aglio, olio e peperoncino) che altrove non esistono, per cui si possono sostituire con bietole, spinaci o patate stufate.

La Sacra Pizza (10): Ringraziamenti

Desidero ringraziare:
  • Sergio Miccù, segretario dell'Associazione Pizzaioli Napoletani, che si batte affinché la Pizza, anche se accerchiata dalla globalizzazione di massa e dalle multinazionali dell'alimentazione, resti un cibo della tradizione culturale ed artistica napoletana.
  • La Confagricoltura e la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) per la tenace opera di difesa dei prodotti nostrani e di stagione
  • La Associazione Pizzaiuoli Napoletani  e l'Associazione Verace Pizza Napoletana per la difesa e la tutela in Italia e nel mondo della "vera" pizza napoletana
  • Il blog di Luciano Pignataro per le innumerevoli informazioni e "dritte"
  • (Mi si consenta il ringraziamento rituale di ogni scrittore che si rispetti) Per ultimi, ma non per importanza, mia moglie e i miei figli che hanno sopportato l'isolamento nel quale mi sono rinchiuso per terminare questo lavoro dandomi il conforto e la carica necessari, senza mai lamentarsi.
Bibliografia

QUANDO IL RE SCENDEVA DA BRANDI A CHIAJA A FARSI UNA PIZZA
antiche storie e fatti recenti raccontate da Vincenzo Pagnani dietro il bancone della sua pizzeria, raccolte da Anna Maria Ghedina e messe in stampa da Vittorio Pironti Editore in Napoli

GABRIELE BENINCASA
La pizza napoletana. Mito, storia e poesia.
Napoli, Alfredo Guida Editore, 1992

ROBERTO MINERVINI
Storia della pizza.
Napoli, Società Editrice Napoletana, 1973.

GIUSEPPE PORCARO
Sapori di Napoli. Storia della pizza napoletana.
Napoli, Adriano Gallina Editore, 1985.

GIUSEPPE PORCARO
Taverne e locande della vecchia Napoli.
Roma-Napoli, Benincasa Editori, 1970.

FRANCO SALERNO
La pizza.
Roma, Tascabili Economici Newton, 1996.

JEANNE CAROLA FRANCESCONI
La vera cucina di Napoli.
Roma, Newton Compton, 1995.

NELLO OLIVIERO
Storie e curiosità del mangiar napoletano.
Napoli, E.S.I., 1983.

DOMENICO GAUDIOSO CAPECELATRO
Ottocento napoletano. Storia, vita, folklore.
Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1971.

FRANCESCO DE BOURCARD
Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti.
Napoli, Stabilimento Tipografico di Gaetano Nobile, 2 voll., 1853; Napoli, Marotta, 1965.

RAFFAELE DE CESARE
La fine di un regno.
Milano, Longanesi, 1969, terza edizione.

FRANCESCO MASTRIANI
Ciccio, il pizzaiuolo di Borgo Loreto.
Napoli, L.U.C.E.T., 1950.

MATILDE SERAO
Il ventre di Napoli.
Milano, Treves, 1884; Napoli, Luca Torre, 1992.

SALVATORE DI GIACOMO
La vita a Napoli.
A cura di A. Fratta e M. Piancastelli. Napoli, Bibliopolis, 1986.

domenica 7 settembre 2014

Carpaccio di cefalo con pomodori datterini e basilico

La diffusione del sushi ha fatto tornare di moda le preparazioni nostrane del pesce crudo, le quali nulla hanno da invidiare a quelle orientali, anzi, a mio personale ed umile parere, molto migliori dal punto di vista della varietà e della fragranza iodata del mare, non coperta dalla salsa di soia o dal terrificante ma gustoso wasabi, per non parlare della eccessiva manipolazione dei bocconcini giapponesi.
La tradizione italiana è piena di piatti di pesce da gustarsi crudi: frutti di mare, "allievi" pugliesi, sontuose marinate di alici, spada o spigola; purtroppo si corre il rischio di incontrare, sulla strada del crudo, il parassita Anisakis, il cui ultimo stato larvale può finire casualmente in un ospite, definito per questo accidentale, che può essere l'uomo, se quest'ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto.
L'unico sistema per assicurarsi della morte del subdolo vermiciattolo è quello di congelare il pesce ad almeno -18°C per 2-3 giorni (l'anisakis e le sue larve muoiono dopo 96 ore a -15°C, 60 ore a -20°C, 12 ore a –30°C, 9 ore a -40°C), oppure cuocerlo fino al raggiungimento, all'interno del pesce, della temperatura di 60°C per almeno 1 minuto; un bel guaio per chi predilige veramente il pesce, che non ama trattamenti così violenti, specie una cottura così prolungata da rendere stoppacciose le carni del nostro prediletto frutto del mare.
Ma pazienza, ob torto collo, congeliamo i nostri cefali per 3 giorni a -18°, li facciamo scongelare in frigo e finalmente ci accingiamo a sfilettare i pesci per preparare il  nostro carpaccio o la nostra marinata. 
Per la sfilettatura non sto qui a spiegare le fasi dell'operazione, vi invito a guardare le splendide immagini di Alice TV, talmente esplicite e facili, da rendere inutile ogni commento; ciò fatto passiamo alla preparazione. 
Per le classiche quattro persone:
  • 320 gr di carpaccio di cefalo,
  • 100 gr circa di pomodorini datterini (da evitare i ciliegini troppo dolci)
  • olio, sale, basilico qb
  • qualche foglia di menta (facoltativo)
  • qualche goccia di limone
La preparazione è semplicissima:
  1. I datterini sciacquati ed asciugati vegono tagliati a dadini e riposti in una ciotola
  2. Condite con un filo di olio, un pizzico di sale e profumate col basilico tagliato a pezzetti; lasciare insaporire per qualche minuto
  3. Disponete il carpaccio di cefalo sul piatto di portata, distribuitevi sopra i pomodori, guarnite con delle foglie di basilico o di menta, condite con un filo di olio e qualche goccia di limone.

Da bere propongo una Falanghina dei Campi Flegrei dal sapore fresco e fruttato di pesca, oppure le bollicine di un Prosecco o, perché no, quelle di uno spumante brut di qualità.

sabato 6 settembre 2014

Cefalo

Mugil cephalus (Linnaeus, 1758), conosciuto comunemente come cefalo o mùggine, è un pesce appartenente alla famiglia Mugilidae nella quale sono sette specie mediterranee. Molto simili tra loro, i mugilidi hanno tutti una bella linea idrodinamica, bocche piccole e si cibano di materie organiche (quali materie organiche, in particolare, è importante in quanto influiscono sul sapore delle loro carni).
Cefali bosega puliti e pronti per il forno

La livrea è piuttosto simile per tutte le specie: bianco argenteo con pinne più o meno tendenti al giallo o al bruno. Alcune specie presentano striature brune o macchie sulle pinne, altre sono tendenti al rosa. Sono essenzialmente pesci di acque costiere, ma si possono trovare anche in acque salmastre.
Il poeta greco Oppiano di Anazarbo (Cilicia), autore degli «Halieutica» trasforma un patrimonio di conoscenze ittiologiche e alieutiche in un’opera letteraria di alto livello artistico, giudicando i pesci più dal loro comportamento che dal sapore.
Oppiano aveva grande ammirazione e simpatia per i cefali, a suo credere i più miti e più giusti tra i figli del mare, animali che non si facevano del male a vicenda e non ne facevano ad altre creature, che mai si macchiavano del sangue altrui, ma santamente si cibavano di alghe o di fango.
La simpatia del poeta è evidente anche quando descrive le tecniche per attirare in trappola un cefalo maschio usando come esca una femmina.
Questa tecnica è ancora in uso, ma mai così poeticamente descritta come in questo passo di Oppiano:
"Un'egual sorte l'Amore riserva ai Cefali; perché anch'essi sono allettati da una femmina trascinata attraverso le onde. La femmina deve essere in buona salute e di forme piene.
Perché così i maschi, quando la vedono, le si radunano intorno innumerevoli, e stupiti e vinti dalla sua bellezza non l'abbandonano più... Ma come i giovani, quando vedono una donna bellissima, prima la guardano da lontano, ammirandone la leggiadria, poi si fanno vicini e, tutto dimenticando, abbandonano la strada che prima tenevano per seguire lei, incantati, allettati dai dolci profumi di Afrodite, così vedrete fare all'umida folla dei Cefali che appassionatamente si stringono e fan ressa."

Le specie più interessanti per noi sono:

venerdì 5 settembre 2014

Spaghetti di scàmmaro

Una pietanza di scàmmaro è un piatto che veniva mangiato nelle giornate di Quaresima, cioè di magro, come viene spiegato qui.
In questa sede ci occupiamo di uno scàmmaro quaresimale rivisitato da Pasquale Torrente del Convento di Cetara; preparazione è un po’ complessa, ma sicuramente molto appagante.
Per le rituali quattro persone: 

  • 300 gr. di vermicelli o spaghetti in trafila di bronzo
  • 16 filetti di alici salate, 
  • 24 olive nere di Gaeta, 
  • 40 grammi di capperi, 
  • 1 spicchio d'aglio, 
  • 1 peperone crusco (facoltativo), 
  • colatura di alici di Cetara, 
  • pane grattugiato, 
  • olio extravergine di oliva, 
  • pan grattato, sale, pepe, prezzemolo. 
  • Occorrono quattro stampini individuali, oppure un unico contenitore da forno.
  1. In una padella far dorare uno spicchio d'aglio in un filo d'olio; eliminarlo quando è biondo.
  2. Aggiungere le alici salate ed un mestolo s’acqua, successivamente le olive e i capperi.
  3. Cuocere gli spaghetti molto al dente e versarli nella padella dove aggiungerete qualche goccia di colatura di alici.
  4. Prendete gli stampini ed ungeteli con olio e pangrattato, riempiteli con gli spaghetti e infornate 10 minuti a 200 gradi.
  5. Capovolgere le forme nel piatto piano, guarnire con le alici a decorazione, una spolverata di prezzemolo, di peperoni cruschi sbriciolati a mano ed un filo d’olio a crudo.



Su questo piatto forte, saporito e sapido berrei Falanghina, un bianco forte e strutturato e fresco, oppure consiglierei un Piedirosso che ben si sposa, grazie ai suoi tannini leggeri e morbidi, oltre che con la sua freschezza, con un piatto di questa fatta.
Foto e  ricetta da Wineblog di Luciano Pignataro

Frittata di scàmmaro ovvero penitenza con gusto

Nella cucina popolare partenopea, vi sono piatti dalla grande tradizione che spariscono nelle nebbie della dimenticanza, sopraffatti dal continuo bombardamento delle "novità a tutti i costi" in cucina che la TV ci propina ad ogni piè sospinto con decine di chef, più o meno improvvisati, che ci incantano con mirabolanti quanto ardite combinazioni dal gusto spesso discutibile o con ignobili mappazze.
Invece vorrei parlare di una pietanza che, per la sua semplicità di preparazione, genialità di invenzione e gusto, sicuramente indovinato, merita di essere riscoperta e rivalutata perché degna di grande interessamento.
Parliamo della frittata di "scàmmaro", che potrebbe definirsi, a voler essere grezzi, una frittata di maccheroni, senza uova, conditi con olive nere, capperi e acciughe; un piatto "di magro" (lo scàmmaro) che tuttavia trae origini nobilissime.
Pare che su richiesta della Chiesa, Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, grande cuoco e letterato napoletano, avesse elaborato questo piatto, coniugando sapientemente il piacere del cibo alla necessità della penitenza quaresimale: è un piatto privo di proteine animali, se si escludono le acciughe, non considerate tali dalla chiesa, e quindi adatto ai periodi di magro.
Pare che "cammarare", fosse una dispensa speciale per i frati che, pure nei giorni di quaresima, erano esentati dal mangiare di magro, purché rimanessero in "cammara", cioè nella loro celletta per non disturbare i loro confratelli costretti a mangiare di magro. 
Se, quindi, “cammarare”, significa “mangiar di grasso”, con la “s” davanti, il verbo diventa “mangiar di magro”; i "giorni di scàmmaro" nel Regno delle Due Sicilie identificavano i giorni della quaresima e tutti gli altri giorni dell'anno nei quali, per precetto religioso, era obbligatorio mangiare di magro, una sola lettera, quindi, sortisce l'effetto non indifferente, per i poveri penitenti di "... mettere a posto la coscienza e non soffrire le pene infernali di chi si priva del godimento di un piatto tanto semplice quanto gustoso" (Monica Piscitelli). 

Il Cavalcanti, nel suo trattato "Cucina Teorica-Pratica" descrive così questa "frittata":


"Scaura tre rotole de vermicielle, ma teniente, teniente, li scule e li buote dinto a no tiano co tre mesurielle d'uoglio zoffritto, co miezo quarto d'alice salate, e pepe, quanno l'aje mbrogliate e asciuttate, ne miette na mità dinto a la tiella e nge miette na mbottonatura d'aulive senza l'osso,de chiapparielle, d'alice salate a meza a meza, passe e pignuole, nge miette l'auta mmità de li vermicielle e nge farraje fa la scorza sott'e ncoppa, facennola friere co la nzogna o co l'uoglio." 

Una possibile traduzione potrebbe essere - tener presente che un "rotolo" equivale a 890 gr:

"Lessa 3 chili (circa) di vermicelli, appena al dente li scoli e li rivolti in un tegame con tre misurini di olio, soffritto con 150 gr di alici salate e pepe. Dopo averli girate più volte fino all'assorbimento del condimento, ne metti una metà in una padella e li imbottisci con olive snocciolate, capperi, acciughe aperte a metà, uva passa e pinoli. Aggiungi l'altra metà dei vermicelli e li farai diventare croccanti friggendoli con la sugna o con l'olio."

Dunque si tratta di una preparazione molto semplice, sia negli ingredienti che nella preparazione.
Dal blog "A cucina e mammà" di Roberto Fusco"

Una versione "umana", nel senso delle dosi, della ricetta del Cavalcanti potrebbe essere:
  • 300 gr di vermicelli trafilati al bronzo
  • 100 gr di olive nere di Gaeta
  • 35-40 gr di capperi
  • 50 gr di uva passa ammollata in acqua
  • 50 gr di pinoli dissalati
  • 4-5 alici sotto sale sfilettate
  • uno spicchio di aglio
  • olio, sale, pepe, prezzemolo  qb.


  1. Cuocere la pasta in acqua leggermente salata e scolarla molto al dente.
  2. In una padella "comoda", che conterrà poi anche la pasta, fate imbiondire l'aglio con qualche cucchiaio di olio, aggiungete le alici e cuocete solo per qualche minuto.
  3. A fuoco dolce, aggiungete la pasta rigirandola più volte con un poco di acqua di cottura, in modo da far assorbire il condimento e consentire che l'amido rilasciato faccia, in mancanza dell'uovo, da legante; aggiustate di pepe a vostro gusto.
  4. In un tegame, con un poco di olio, fate  cuocere, a fuoco dolce per qualche minuto,  le olive snocciolate e tagliate a metà, i capperi, l'uvetta ed i pinoli.
  5. A questo punto mettete metà della pasta in una padella di ferro, pressandola leggermente; distribuitevi uniformemente, a mo' di imbottitura, le olive, i capperi, l'uva passa e i pinoli.
  6. Coprite con l'altra metà della pasta e passate alla cottura.
  7. Poiché quest'ultima risulta lunga, almeno 15 minuti per lato, occorre lavorare a fuoco dolce facendo ruotare la padella, in senso orario o antiorario, sul fornello per ottenere una doratura quanto più omogenea possibile, prima da un lato e poi dall'altro ed inclinandola per permettere la doratura anche ai bordi e per evitare una eccessiva cottura del centro.
Da bere un bel bianco strutturato come il "Greco di Tufo", oppure un frizzante "Gragnano" rosso.

Una versione più ricca, che ha stupito non poco i miei amici durante il cenone di capodanno sono :

mercoledì 3 settembre 2014

Spaghetti al pomodoro e basilico

     Accingiamoci a preparare questo piatto che, nella sua semplicità ed armonia di sapori e profumi, è un piatto da re, un'opera d'arte essenziale e profonda come un quadro di Fontana, la sintesi perfetta del concetto di identità italiana mutuata da molteplici radici.
       Ci occorrono, per le solite quattro porzioni:  
  • due-tre spicchi di aglio,
  • qualche foglia di basilico, 
  • 150 grammi di pomodori San Marzano
  • 280 grammi di spaghetti di Gragnano, 
  • 100 grammi di grana o parmigiano, 
  • olio extravergine di oliva, 
  • sale e pepe bianco quanto bastano.
      La cottura deve essere minima per non alterare i profumi degli ingredienti.
  1. Prepariamo una semplice salsa a base di olio extravergine di oliva, uno spicchio di aglio fresco e basilico finemente tritati, emulsionando bene il tutto con una semplice forchetta.
  2. In una padella di ferro, facciamo soffriggere, nell'olio ben caldo, un paio di spicchi di aglio pelato che leviamo quando è ben dorato.
  3. Aggiungiamo prima qualche foglia di basilico e subito dopo la polpa dei pomodori San Marzano, pelati e tagliati a dadini; il pomodoro non deve cuocere, ma deve appena sentire il calore, quindi lo teniamo solo per qualche minuto, non di più.
  4. A parte cuociamo bene al dente gli spaghetti.
  5. Li scoliamo e li facciamo saltare per pochi secondi nella padella con la salsa, aggiungendo una spolverata di formaggio grattugiato (per chi piace).
  6. Impiattiamo, dopo aver disposto a specchio la salsa all'aglio, con un "nido" di spaghetti, copriamo con un filetto di pomodoro San Marzano e decoriamo con foglioline di basilico e scaglie di parmigiano.
  7. Accompagniamo con un vino rosso non troppo strutturato come il rosso di Gragnano, vivace e spumeggiante, oppure un Piedirosso rosato, un nuovo vino IGP della Azienda agricola Piscina Mirabile, caratterizzato da freschezza e da spiccati aromi di frutta.

Noterelle a margine:

  • La scelta del pomodoro San Marzano deriva da varie considerazioni fisiche ed organolettiche: è naturalmente dolce, "polposo", rosso vivo e con la buccia sottilissima; purtroppo sulle nostre tavole arriva un ibrido che ha solo una somiglianza formale con il "vero" pomodoro San Marzano, dell'Agro Sarnese-Nocerino, ma vale la pena fare una puntatina qui e assaggiare qualche scatola del prodotto, anche se costa qualcosa in più, per "verificare" la differenza.
  • Il trucco è quello di far cuocere pochissimo i pomodori, per lasciare inalterato gusto e colore.
  • Non inorridite, ma il gusto del grana o del parmigiano si sposa benissimo con la salsa all'aglio.
  • Massimo 80 grammi a testa! Sufficienti per godere del piatto, non per abbuffarsi.
  • La preparazione proposta è dotta e scenografica, ma andrebbe provata per valutare intatta la "freschezza" dei sapori e dei profumi di questo piatto.
  • Chi vuole rientrare nella "tradizione" in maniera acritica, può saltare il punto 1 e il punto 6, ma "gode" di meno.