venerdì 23 novembre 2012

La sacra pizza (2): Deuteronomio


     Il Signore, che dopo la cacciata dell'uomo se ne era stato imbronciato in disparte, si interessò alla "cosa" e pensò che essa non poteva essere cotta sperando solamente nelle pietre arroventate dal sole e fu così che si presentò all'uomo in uno dei suoi più riusciti travestimenti: un "cespuglio in fiamme" e disse : "UOMO, TI HO PORTATO IL FUOCO!" e l'uomo che sempre meno capiva il comportamento del Signore, dopo qualche ustione e qualche bestemmia, una volta compreso come maneggiare questo fuoco e tenerlo a distanza, lo usò anche per cuocere i cibi.
     Passarono i secoli e tutto il mondo imparò a cuocere la "cosa"; sembra che gli egizi, per primi, avessero inventato il "forno", era a forma conica e, mentre all'interno si metteva il fuoco, la "cosa" veniva appiccicata sulla superficie esterna arroventata fino a quando, cotta, cadeva a terra, dopodiché veniva "cotta" dall'altra parte.
     Presso greci, persiani[1] e romani[2] la "cosa" veniva cotta in "forni" di pietra chiusi e arroventati, e arricchita di vari sapori con olive, "ciccioli" di maiale ed altro (l'antenata della pizza e della focaccia) oppure con uvetta, pinoli e canditi (l'antenata del panettone, del pandolce ecc.) mentre le popolazioni più arretrate come quelle del nord del pianeta: celti, siberiani e pellerossa nordamericani continuavano ad utilizzare la farina impastata con acqua e arrostita su pietre arroventate (l'antenata delle gallette e dei cracker)  finanche in tempi recenti[3].
      All'incirca tra il 1300 e il 1200 a.C. un gruppo di profughi turchi guidati dallo scafista Enea, scampati all'incendio della loro città, approdarono, dopo varie peripezie, con il loro barcone in Italia dove, come ci narra Tito Livio, fondarono la città di Lavinium (e poi Roma); più poeticamente Virgilio, nell'Eneide, ci descrive la fame di questi extracomunitari che morivano di inedia e...

Altro per avventura allor non v'era
di che cibarsi. Onde, finiti i cibi,
volser per fame a quei lor deschi i denti,
e motteggiando allora: «O - disse Iulo -
fino a le mense ancor ne divoriamo?» 

(Eneide, Libro VII, vv. 175-179, trad. di Annibal Caro).

... evidenziando il fatto che le "mense" non erano altro che i piatti, fatti di una pasta di grano cotto e croccante, su cui si poggiava il cibo vero e proprio, come una focaccia.    
      La "cosa" fu chiamata in vari modi e non stiamo qui a raccontare le evoluzioni del nome di questa pietanza; altri più dotti di me hanno speso buona parte del loro tempo per rintracciare le etimologie del nome di questo piatto[4], ma il termine che alla fine si è imposto su tutti è: pizza, utilizzato così in tutto il mondo.
     
     Allora il Signore vide che la "pizza" era una cosa buona e, non volendo lasciare tutto il merito agli uomini, intervenne, per migliorarla, alla sua maniera e cioè con due miracoli:
  1. Mandò in Italia, dopo la caduta dell'impero romano, i longobardi, un popolo di origine celtica, i quali si riportarono a casa la nostra civiltà, così evolsero, ma ci lasciarono la bufala (l'animale), che ben si acclimatò nel basso Lazio e in Campania, fornendo il latte per la fabbricazione della mozzarella, la Regina dei "latticini".
  2. In epoca moderna, fece scoprire il "nuovo mondo", al solo scopo di portare in Europa l'elemento principe della pizza: Sua Maestà il pomodoro.
      Dopo le iniziali diffidenze, il pomodoro fece il suo ingresso trionfale nella cucina italiana e, in particolare, napoletana e la pizza diventò, verso la fine del '700, proprio a Napoli, quella che oggi conosciamo, grazie ai due "miracoli" del Signore; per questo motivo  quello Napoletano fu il popolo eletto dal Signore e la Pizza il nuovo Verbo[5].


[1] Salamon Rashid - "Versetti pizziatici"- II Edizione - Fish & Chips Editori - Londra 1992
[2] Hìkef Fòrmel Baccalònen - "Diario di una grande scoperta" - Salmon & Stock Editori - Reykjavik 1997
[3] Cfr. il film "Corvo Rosso, non avrai il mio scalpo" - Sidney Pollack - 1972
[4] Charles McAlbion "La pizza Celtica" - Introd. di Fra Carolo de' Cherubinis - De Angelis Editore - Roma 2001
[5] Peppino di Napoli - "Ma qua' Pizza Celtica" - Edizioni P.O.T.T.A - Napoli 1995

3 commenti:

  1. Comunque è molto più divertente la versione originale: http://www.ryo.it/2013/05/17/la-sacra-bibbia-deuteronomio/ :-)

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    1. Perfettamente d'accordo con lei, chiunque lei sia; è difficile eguagliare, quanto a divertimento, la versione originale, il mio voleva essere una semplice parafrasi, ma certamente non poteva competere con Tanto scritto, visto l'autore.
      Stia sereno

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  2. Trovo decisamente patetico l'atteggiamento di coloro che, per spirito di contraddizione, di rivalsa o semplice e fastidiosa pignoleria (e pochezza) non hanno nulla da fare che andare a sindacare "questo è meglio" o "era meglio l'altro" "questo è copiato"...
    Ma basta.
    Se ti ha fatto sorridere e lo hai gradito hai avuto un momento di allegria nella tua vita, se non lo hai gradito, o non ti ha fatto ridere, passa oltre.
    La critica ( da cui nessuno è esente) serve se è costruttiva e produttiva di migliorie, altrimenti è solo lo sfogo della frustrazione personale (o di altro) che è meglio che resti dove viene prodotta!

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