venerdì 6 aprile 2012

La zuppa di cozze del Giovedì Santo


     Avevo 13 anni quando misi per la prima volta gli occhiali. Era il giovedì santo di molti anni fa e l’ottico Gaipa in via Carlo De Cesare, mi consegnò un fiammante paio di occhiali dalla elegantissima montatura color grigio acciaio, oggi si direbbe da nerd, secchione, attribuzione assolutamente falsa per quanto mi riguardava, perché era solo la moda del 1958.
Il giovedì santo vi è, allora come adesso, la tradizione di fare i “sepolcri”, cioè rendere omaggio alla Eucarestia, allestita nelle varie chiese. 
Nel tardo pomeriggio c’era stata la celebrazione della Messa in “Cena Domini”, cioè la Cena del Signore - l’"Ultima Cena" che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli - dopo la quale si ritirò nell'Orto degli Ulivi.
     Comincia così la "Passione" che la Chiesa ricorda il Venerdì Santo; i riti liturgici del Giovedì Santo si concludono con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’Istituzione del Sacramento; tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare è disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.
La tradizione prescrive che i sepolcri debbano essere di numero dispari e non meno di tre.
Così ci si dava appuntamento in via Toledo, angolo via Carlo De Cesare, ci si intruppava in due o più famiglie, capogruppo zio Gigino, e si cominciava lo “struscio”, il passeggio sulle strade prive di traffico automobilistico, dove si faceva sfoggio, ai primi tepori della primavera, dei primi abiti leggeri. Il tragitto era sempre lo stesso anno dopo anno: la chiesa di San Francesco di Paola in piazza del Plebiscito, quella di San Ferdinando e poi quella di Santa Brigida.
Da buoni napoletani, nel nostro cuore è consolidata una pacifica convivenza tra il sacro ed il profano, con una leggera prevalenza di quest'ultimo, pertanto, espletate le formalità del rito dei sepolcri col minimo sindacale di tre, la seconda parte della serata si prospettava decisamente più divertente.
Da piazzetta Augusteo, la Funicolare Centrale ci portava al Vomero e raggiungevamo la vicina pizzeria Gorizia in via Bernini dove finalmente si poteva mangiare la tipica cena del Giovedì Santo: Zuppa di cozze piccante con polpetielli e maruzzielli (lumachine).
La tradizione andava rispettata ed ogni anno il rituale si ripeteva identico a se stesso: struscio, sepolcri e cozze. Non si transigeva; al più, per noi giovani, era concessa la pizza per dare supporto alla fame che, come da tradizione, stazionava in permanenza. Ma per il resto era rigorosa tradizione.

Per la ricetta della zuppa di cozze, potete provare questa, lunga ma ne vale la pena.

Zuppa di cozze del giovedì santo


Per 4-5 persone regolatevi con:
  • 1 polpo verace da 1 chilo e mezzo circa, 
  • 1,5-2 kg di cozze, 
  • 300-400 gr di maruzzielli (lumachine di mare), 
  • olio piccante di peperoni (300-500 grammi), 
  • una-due "freselle(fette di pane biscottato) a testa , 
  • aglio e peperoncino quanto vi piace.
  1. Lessate il polpo per una trentina di minuti, scolatelo, tagliatelo a pezzetti e tenetelo da parte. Non buttate l’acqua.
  2. Fate aprire velocemente le cozze in una pentola col coperchio (devono rimanere morbide), sgusciatene una parte, le altre le lascerete intere e tenetele da parte. Non buttate l’acqua.
  3. Fate soffriggere in un tegame uno spicchio d’aglio e un peperoncino tagliato a pezzetti, toglieteli quando l'aglio è biondo, e aggiungete le lumachine che avrete lasciato spurgare in acqua per qualche ora, cambiando spesso l’acqua. Fate cuocere per qualche minuto e aggiungete del prezzemolo tritato.
  4. A questo punto unite l’acqua del polpo e quella delle cozze insieme, dopo averle filtrate e mettetela a bollire.
  5. Sul fondo di una larga ciotola poggiate le freselle, bagnate con un bel mestolo o più dell’acqua bollente del polpo e cozze, aggiungete le cozze, sgusciate e no, le lumachine, il polpo e infine irrorate il tutto con abbondante olio piccante di peperoni ('o russ').
Il tutto deve avvenire velocemente e possibilmente vicino al tavolo dove si mangerà, perché non si disperdano i profumi di un piatto che va gustato in religiosa concentrazione.
Da bere: Birra o un vino rosso di medio corpo come 'o Per' e Palummo (Piedirosso d'Ischia o dei Campi Flegrei).


Noterelle a margine

  • Il pomodoro, in ogni sua forma, non è ammesso, anche se la maggior parte delle ricette che si trovano in giro ne fanno uso, ma la tradizione prescrive che il "rosso" venga dato solo dalla salsa piccante di peperoni.
  • Optional: una spolverata di bottarga di muggine e qualche fogliolina di maggiorana fresca, inseriscono un diversivo di grande aroma e intensità (da provare).
  • Un consiglio: poiché la porzione fornisce oltre 500 kcal, ed è sbilanciata perché priva di verdure, il piatto andrebbe accostato a delle verdure e della frutta fresca e basta.
  • In alcune preparazioni "da ristorante", il piatto viene arricchito con vongole, fasolari e scampi e quindi diventa sontuoso da vedere, ma è una licenza poco ortodossa, dedicata ai turisti, che fa perdere la tipicità e semplicità del piatto, che è buonissimo così com'è.

Olio piccante di peperoni


Occorre acquistare la conserva piccante di peperoni.
Un buon dosaggio prevede 3 bei spicchi di aglio, 1/2 litro di olio extravergine, e 150-200 gr di concentrato di peperoni.
  1. Fate soffriggere a fuoco bassissimo l'aglio schiacciato o tagliato a lamelle sottili, aggiungete il concentrato di peperoni e cuocete sempre a fuoco bassissimo per 40-50 minuti, rimestando continuamente per evitare che il composto si attacchi al fondo. Attenzione, i vapori sono irritanti per gli occhi.
  2. Quando l'olio salirà tutto a galla e avrà un bel colore rosso ambrato, spegnete il fuoco e lasciate raffreddare, poi filtrate con un canovaccio bianco pulitissimo e imbottigliate. 

Si mantiene per mesi per cui vale la pena di prepararlo in abbondanza (2-3 litri alla volta) per utilizzarlo all'occorrenza anche sulla pasta e fagioli e dove vi sembra che possa andare.

1 commento:

  1. Sono anni che ormai la faccio, seguo abbastanza fedelmente la ricetta con piccole “licenze” derivanti generalmente dalle circostanze (manca sempre qualcosa in pescheria). Come sempre buonissima, anzi la preferisco ad altre anche di ristoranti più veraci e blasonati.
    Ma la cosa più bella è il racconto…piccoli spaccati di vita che rendono le persone più “vicine”. Grazie

    RispondiElimina